Detto tra noi non mi sono mai piaciuti i chitarrismi eccessivi, spesso si riducono solo ad una
ostentazione di tecnica. Ma oggi sono qua un po' per ricredermi perché il disco che sto recensendo di chitarrismi ne è veramente un concentrato.

Anzitutto il personaggio, uomo oltremodo bizzarro anzichenò. In che altro modo definireste un tizio che suona con una maschera bianca e un secchio in testa e si fa chiamare "Buckethead". Che era pure presente come membro effettivo alla breve reunion dei "Guns 'n' Roses". Che si è rifiutato di suonare con Ozzy Osborne perché quest'ultimo pretendeva che si levasse il secchio dala testa e apparisse in borghese. Un tizio che pretende di essere il figlio della colpa di un uomo di chiesa e che sostiene di essere stato allevato in una gabbia per polli. Mitologia grottesca da B-movie.

Folklore a parte, il nostro eroe è un virtuoso della chitarra di proporzioni galattiche. Alterna album scalmanati di gusto metal-funk-indiavolato a robe tranquille semi-acustiche. Lo stesso gusto languido per gli assoli pieni di note blue-rock del Santana di "Abraxas". Il tutto mescolato con tocchi di melanconia alla Jimi Hendrix. Roba da demoni al culo.

Il tema unificante dai titoli sembra essere quello di una terra sovrappopolata che alla fine scoppia per mancanza di risorse, resa malata dal virus-uomo. Ma quando l'uomo scompare la natura si cura da sola. E il mondo del futuro viene popolato da cloni super-umani. Il tutto sembra la trama di uno dei mille manga di ultima generazione, che hanno probabilmente il vizio di assomigliarsi troppo tra loro. Il tutto in realtà è un pretesto per sfoderare milioni di note dal sapore rock-funk-languido con tocchi di metal che fanno capolino qua e là.

Prendetelo sul serio questo ragazzo. Sembra uno scemo col secchio in testa e viene un po' da sorriderci d'acchito. Ma se vi ascoltate questa perla di disco vi ricrederete. Tecnica ma non solo, un sacco di sensibilità e di fantasia pure.

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