Alla svolta della sua carriera, causata da quei drammatici eventi che tutti, nel bene o nel male, conosciamo, Varg Vikernes registrò "Filosofem", l'album certamente più ambiguo della sua carriera, sia per quanto riguarda l'inserimento da questo momento più massiccio di tastiere tendenzialmente ambient nella sua musica, sia dal punto di vista del significato dell'opera, quanto mai difficile da trovare e forse anche da accettare.

Un album meno cattivo e "black" di altri, incentrato maggiormente sulle tematiche della disperazione, della depressione, della fine. Questo sia per quanto riguarda lo stile e le tecniche utilizzate dal Conte e dal produttore (distorsione esasperata, tastiere che occhieggiano dal fondo di questo mare torbido e opprimente, voce filtrata dalla peggior strumentazione che fu possibile trovare), sia per quanto riguarda le tematiche (basti leggere i testi di pezzi quali "Erblicket Die Toechter Des Firmaments" o "Gebrechlichkeit", o ascoltare il riff lacerante e ipnoticamente ripetitivo che esprime al meglio ciò che le parole urlano come fosse l'ultima frase prima dell'imminente, inevitabile morte - lecito immaginare che ormai Varg si sentisse già morto dentro).

Musicalmente, come in parte già accennato, l'intero disco è piuttosto lento, fatta eccezione per la seconda traccia, "Jesus Tod", dal titolo chiaro e dall'andamento che non consente grandi slanci emotivi, i quali si risolvono principalmente nel testo brutalmente blasfemo nella sua poesia. Degni di nota soprattutto pezzi come "Dunkelheit" (Oscurità), che sebbene supportato dal testo più banale della storia del black metal, riesce ad infondere, attraverso la sua ripetitività, quelle sensazioni di sgradevole immersione forzata nel buio, della presenza incombente di qualcosa di freddo e spaventoso in un luogo sconosciuto; "Erblicket..." (Contemplando le Figlie del Firmamento), pezzo granitico, pesante, lacerante, irrinunciabilmente depressivo e dal testo clamorosamente poetico; l'altra già citata "Gebrechlichkeit" (Decrepitudine), disperante fino allo spasimo, cantata con lentezza e carica di DOLORE esasperante, su un riff ripetitivo e quasi inascoltabile per lunghissimi minuti - anche qui irrinunciabile la lettura delle lyrics.

Un posto a parte lo merita "Rundgang Um Die Transzendentale Saeule Der Singularitaet" (Girotondo intorno alla Colonna Trascendentale della Singolarità), pezzo ambient che non varia di una virgola lungo i suoi 25 minuti, frutto più esemplificativo del genio malato di Varg Vikernes, che percorre tutta la gradinata verso il cielo della musica, e la supera, sfociando in qualcos'altro, qualcosa che va AL DI LA' della semplice melodia, della semplice TERRENITA'. Purtroppo, però, alla lunga il pezzo non può che stancare un po' nella sua prolissità... forse c'è da dire che la sua controparte "Tomhet" nel precedente "Det Som En Gang Var" rispondeva meglio alla richiesta.

In definitiva, un album che sa trasmettere tutto quel dolore e quella disperazione che nessuno vorrebbe mai provare, ma che una volta destati dall'ascolto di tali note, nessuno troverà il coraggio e la forza di rinunciarvi. Si desidererà, al più, che la canzone finisca al più presto, ma non si potrà che desiderare, al contempo, che questa non termini mai.

Elenco tracce e testi

01   Burzum (07:05)

02   Jesu død (08:39)

03   Beholding the Daughters of the Firmament (07:53)

04   Decrepitude I (07:53)

Tears from the eyes so cold, tears from the eyes, in the grass so green.
As I lie here, the burden is being lifted once and for all, once and for all.
Beware of the light, it may take you away, to where no evil dwells.
It will take you away, for all eternity.
Night is so beautiful (we need her as much as we need Day).

05   Rundtgåing av den transcendentale egenhetens støtte (25:11)

06   Decrepitude II (07:52)

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Altre recensioni

Di  burzum1

 "Questo è il cd che rappresenta il vero io di Varg Vikernes."

 "Un black metal strano, mai sentito prima e neanche dopo che segna la completa maturazione di un artista dal punto di vista musicale."


Di  StefanoHab

 Impossibile non porsi queste domande ascoltando «Filosofem».

 La voce di Burzum in «Filosofem» è la pura rappresentazione della disperazione, lontana dal feroce latrato di «Det Som...».


Di  korn

 La voce di Burzum è uno zombie, la voce di un morto vivente, di un psicopatico, di un assassino di un uomo già morto.

 Sicuramente un capolavoro che sposta i Sepultura di 'Arise' alle atmosfere del black metal norvegese e dei lupi mannari.


Di  CUNTGRINDER

 Quando tutti dormiremo nei campi di riso… quale colonna sonora useremo se non questa.

 Alla fine di tutto ciò realizziamo che noi non avremmo mai la nostra pace, mai…


Di  Cimbarello132

 Filosofem, dove il black metal diventa una sorta di passaporta per esplorare nuovi mondi.

 When night falls, she cloaks the world, in impenetrable darkness.