Ovvero: le origini di un suono

 

Tutto ebbe inizio nel 1972 a Sheffield la "rossa", il polo siderurgico industriale del Regno Unito, quando per un gruppo di adolescenti il naturale antidoto alla noia divenne quello di ritrovarsi per condividere le proprie passioni: scrittori come Burroughs, Gysin, Ballard, la musica garage americana, il glam, le colonne sonore di Walter (Wendy) Carlos, dei fratelli Barron e Leonard Rosenman, i dischi del nuovo rock tedesco (Can, Kraftwerk, Tangerine Dream), le serie televisive sci-fi come Dr.Who. Tra le grandi passioni comuni c'era anche quella per il movimento artistico Dada, amato perchè rappresentava un punto di rottura verso il passato, talmente amato che il gruppuscolo di ragazzini si autodenominò come il locale zurighese teatro delle prime performance provocatorie dei dadaisti: Cabaret Voltaire.

Già nei primi mesi del 1974 il gruppo si era ridotto a terzetto: i diciottenni Richard H. Kirk, Stephen Mallinder e Chris Watson si ritrovavano un paio di volte a settimana nel solaio di casa di quest'ultimo per creare musica esclusivamente per piacere personale, senza alcuna ambizione di pubblicarla. Armati di strumenti musicali di seconda mano o autocostruiti il terzetto registrò decine di tracce per quasi cinque anni prima di esordire tardivamente su disco nel 1978 con "Extended Play", edito dalla label londinese Rough Trade. Per lungo tempo i pezzi restarono inediti finchè la Mute con la collaborazione di Kirk non ne pubblicò una parte selezionata in un cofanetto di tre Cd uscito nel 2003.

 

DISCO 1: 1974-1975

Pur nella povertà di mezzi ed esperienza, già nelle loro prime testimonianze sonore i Cabs dimostrano una certa padronanza degli strumenti e una buona dose di creatività:  i brani "Treated Guitar", "Treated Clarinet" e "Treated Drum Machine" sono poco più che soundcheck nei quali comincia a venire alla luce quello che sarà il marchio di fabbrica dei CV futuri ovvero la manipolazione e lo stravolgimento degli strumenti classici; in particolare la chitarra e il clarinetto, carichi di effetti delay e riverberi, diventeranno tratti distintivi del loro sound e saranno imitati da molti gruppi a venire. "Exhaust" è invece una cover del musicista d'avanguardia Jan-Yves Bosseur: una voce passata al vocoder che ripete meccanicamente il titolo mentre un vento sintetico soffia in sottofondo: troppo semplice, banale verrebbe da dire, eppure è un pezzo terribilmente inquietante che mette già in nuce una visione delle cose fosca e in bianco e nero. Ingenuità si possono ascoltare in "Jet Passing Over" (nient'altro che il rumore di un jet modulato) o in "The Single" sorta di ebete canzoncina anni 50 distorta, i "Synthi AKS Piece" N.1 e N.2 fanno pensare a colonne sonore science fiction, "Sad Synth" è elettronica più meditabonda in linea con la Cosmica tedesca. "Possibility of a Bum Trip", "Jack Stereo Unit" e "Speed Kills" sono esperimenti di frequenze radiofoniche e voci parlate, a dire il vero un po' sterili anche se dotati di un certo fascino vintage. Quello che però più colpisce è "Space Patrol" brevissimo brano sintetico che ha già l'urgenza e l'irruenza del punk con qualche anno d'anticipo, stesso dicasi per l'appena meno veloce ma più pesante e minacciosa "Makes Your Mouth Go Funny" che è già un'anteprima di musica industriale proprio nell'anno che salutava la nascita dei Throbbing Gristle. In "Jive" invece ci sono i prodromi del funk androide che farà capolino più volte nella loro discografia ufficiale.

 

DISCO 2: 1975-1976

Pur essendo ancora refrattari all'idea di pubblicare alcunchè, la voglia di stupire dei ragazzi li porta ad esordire dal vivo in una discoteca nel 1975 vendendosi" agli organizzatori come band di rock tradizionale. La risposta del pubblico (che probabilmente si aspettava qualcosa tipo Deep Purple) non è la migliore e culminerà con una rissa e con Mallinder ricoverato in ospedale con la spina dorsale scheggiata. Nonostante l'esperienza in questo periodo i Cabs non rendono più fisica la loro musica per aumentarne l'appeal live, i brani registrati viceversa sono più lunghi e ambientali e fanno gran uso di rumori, voci manipolate e frequenze ricordando vagamente la musica concreta di Pierre Schaeffer ("Data Processing Instructions", "Calling Moscow", "Henderson Reversed Piece Two", "Bed Time Stories"). Non mancano anche qui prove più "cinematografiche" con torvi brani ambientali che non avrebbero sfigurato in qualche fanta-horror di serie B (le "Dream Sequence" Number Two e Number Three, "The Attic Tapes").  Le uniche testimonianze di quella che oggi chiameremmo Industrial music si trovano nel trittico messo a chiusura di CD: il techno-synth disturbato di "Loves In Vein", la early version di quella che sarà la "famosa" "Do The Mussolini (Headkick)" e il bombardamento ritmico di "She's Black part.2", tracce che più di tutte presagiscono dove andrà a parare la direzione musicale del trio. L' atmosfera generale in ogni caso è limacciosa, sfuocata, a volte tetra ed è la caratteristica che ormai accomuna tutti i brani.

 

DISCO 3: 1977-1978

Cd per lo più dedicato a early version di brani che vedranno luce su disco. Il punk esplode e con esso la consapevolezza dei concetti "do It yourself" e "everyone can do It" cosa che a dire il vero era sempre stata presente nelle menti dei nostri. Da sempre affascinati dall'impatto della musica garage dei sixties si ritrovano di colpo a loro agio con la telluricità basilare della nuova musica giovanile registrando le loro tracce più "rock": ecco allora le early version di "No Escape", cover (piuttosto fedele nella struttura ma stravolta nel sound) degli americani The Seeds e l'inno punk ultra lo-fi di "Nag Nag Nag" dove danno fondo a tutto il loro armamentario di filtri e distorsioni tanto da far sembrare lambiccato il sound dei Crass.  La cover di "Here She Comes Now" dei Velvet Underground viene invece completamente stravolta, tramutata in un mostruoso funerale alieno, talmente oscuro e opprimente da far sembrare l'originale di Lou Reed & Co. un'allegra strimpellata tra amici. "The Set Up" pur nella sua originalità è invece il brano chitarristicamente più ortodosso e a suo modo orecchiabile, con spledidi riff riverberati in minore che si stampano indelebili nella mente dell'ascoltatore. "Do the Mussolini (Head Kick)", altro loro piccolo classico ispirato al vilipendio del cadavere del dittatore italiano, suona invece come un ebete balletto meccanico senza che nulla faccia pensare a qualcosa di drammatico o macabro; qui si delinea anche uno dei principali stili espressivi del gruppo di Sheffiled, quello di prendere frammenti dalla realtà (in questo caso un evento storico) rimasticarla e rivomitarla sfuocata, distorta, deformata: praticamente la stessa opera di manipolazione che a livello tecnico operavano negli strumenti. Rientra in questa reinterpretazione/deformazione della realtà anche "Baader Meinhof" ispirata ai "suicidi" del gruppo terrorista tedesco RAF., un incubo fatto di voci d'oltretomba e lamenti di clarinetto filtrato. Merita una citazione anche "Oh Roger", esempio di brano più ambientale ma non per questo rilassato, dove tutto suona distante, perso nel vuoto di grandi spazi, dando una sensazione di spaesamento che sarà sempre presente nei loro lavori. 

Il suono dei Cabaret Voltaire ormai è maturo, nel novembre 1978 esordiranno sulla breve distanza in un seminale EP prima di pubblicare in rapida successione lavori di importanza capitale quali "Mix Up", "The Voice of America", "Red Mecca" e "2x45", che entreranno nella storia dell'elettronica e della musica tutta fungendo da anello mancante tra Krautrock dei '70 e Techno dei '90.

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