Questi cinque ragazzi vengono da vicino Manchester, e a suon di EP e di tour hanno fatto crescere attorno al loro primo disco un hype non indifferente. Di questi tempi però, spesso e volentieri, hype = una cosa ai limiti della decenza che però viene sopravvalutata in modo assurdo.
Il rischio di presentarsi quindi con una cagata di disco era abbastanza alto, di fatto in quanto a originalità ci sarebbe molto da discutere. Il cantante canta come Johnny Rotten, e la band si muove tra l'oscurità dei Joy Division e la politica dei Clash, le chitarre sono quelle tipiche del garage che tanto piacciono di questi tempi. Esteticamente ricordano i Fall dei bei tempi andati, ma non risparmiano certo le provocazioni (di fatto accostati spesso a gruppi quali Fat White Family).
Il disco si apre con un classico brano garage punk, la voce di Lee è sempre molto teatrale e si alterna tra sussurri e urla che sembrano annunciare un'apocalisse immediata, sostenuto da un'atmosfera che lo conferma, poi però solo pochi minuti dopo il sole splende di nuovo, anche se le nuvole restano sullo sfondo. Un disco eterogeneo che puzza ancora di inesperienza e che trova i suoi massimi nei momenti più lenti. Di fatto si chiude con una cavalcata di ben 7 minuti epica come poche e a tratti da veri brividi.
La fortuna dei Cabbage è che so bravi, ma davvero il (post) punk ha ancora qualcosa da dire del 2018? Il movimento inglese neonascente (Shame, IDLES) dice di sì, e noi vogliamo crederci, ma attualmente sembra tutto abbastanza irrilevante, purtroppo.

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