Su sollecitazione di alcuni lettori, che ringrazio per i messaggi di solidarietà privatamente inviatimi, provvedo oggi a iniziare un'analisi dei classici del pensiero politico, partendo dal noto testo di Marx ed Engels.

Di Comunismo si parla tanto, a volte a sproposito, soprattutto fra i più giovani succubi di facili slogans, ed occorre allora intendersi su una premessa fondamentale che potrebbe aiutare anche gli utenti più sprovveduti del sito ad orientarsi in un intrico di teorie di non facile scioglimento.

Il Comunismo non esiste in natura, e non esiste, di regola, nella cultura degli esseri umani: buttate un osso a due cani, e litigheranno per il sopravvento; lo stesso dicasi per un giuoco consegnato ad un bambino con la promessa di dividerlo con i fratelli: non lo farà; nessuno vorrebbe poi dividere la propria donna, o il proprio uomo, con altre donne o altri uomini, a meno che non sia un perverso o un invertito; il proprio tetto con estranei, a meno che egli non sia costretto dalle circostanze e dalle necessità. C'è dunque, nella natura delle cose, una tendenza costante all'appropriazione - monopolistica - delle risorse scarse o contese: e c'è sempre qualcosa di soprannaturale, di "santo", in chi agisce costantemente sulla base di impulsi solidaristici, come i religiosi o certi rari politici illuminati, che per questo passano alla Storia.

Traslando il tutto a livello generale e politico: nessun individuo, nel pieno delle forze e delle capacità, accetterebbe di privarsi dei suoi beni o di mettere qualcosa in comunione; a meno che non vi sia un interesse immediato a farlo, dovuto alla sua contestuale debolezza: questo interesse maschera sempre una pulsione egoistica, ed è dall'egoismo che nasce, non senza paradosso, la società organizzata.

La pulsione egoistica, beninteso, è tipica anche di soggetti che si dicono, apparentemente, di sinistra o addirittura anarchici, ponendosi contro un certo tipo di società. Pensate, esemplificando, ai punkabbestia oppure agli abituali frequentatori dei centri sociali: pronti a contestare la società, a negarne la necessità, ma sempre ben protetti dalla società stessa, della quale fanno parte, partecipando ai benefici che essa elargisce (per dire: se uno di loro va in overdose, o viene picchiato in un tumulto, o lite fra spacciatori, non rifiuta certo le cure sanitarie dello Stato!).

Questo egoismo innato in ogni individuo spiega dunque, oltre all'ipocrisia della sinistra, una certa tendenza all'evasione fiscale, o alle furberie, una certa avversione delle persone alle politiche pubbliche che si attuino mediante ingenti prelievi di ordine fiscale, diffusa nella maggior parte della popolazione italiana. E spiega come una società che funzioni non possa eliminare questo egoismo, ma debba utilizzarlo ai fini della sua stessa sopravvivenza: funzionalizzarlo.

Spiega, in sostanza, anche il successo delle forze politiche di destra, la cui ideologia si fonda su un richiamo implicito ai summenzionati istinti egoistici, i quali, surrettiziamente, suggeriscono ai propri elettori di essere, psicologicamente ed individualmente, dei soggetti forti, possenti, che nulla hanno da chiedere agli altri, e che non hanno bisogno degli altri per affermare se stessi come individui "alpha" (capibranco) in una certa cerchia sociale.

Siffatta premessa non vuol essere una critica al Comunismo, ma ci aiuta probabilmente a interpretarne la natura e le conseguenze: esso è una sorta di speranza o promessa messianica - non a caso il frutto di due pensatori ebrei che, delusi dalla propria religione, finirono per ipostatizzare e reificare il loro anelito religioso in questa teoria, con tratti profetici - la quale, tuttavia, non può realizzarsi puramente su questa terra.

Per realizzarsi, essa ha infatti bisogno dell'intervento di una Forza esterna, atta a coartare la volontà, gli istinti, dei singoli: e questa forza si chiama Stato totalitario, ovvero Stato che conculca tutte le libertà degli individui (prima fra tutte quella inerente all'uso della proprietà privata, senza la quale non esistono le altre), per realizzare, attraverso la Forza, e contro le minoranze dissenzienti, quell'obiettivo Comunista che non sarebbe raggiungibile in natura.

Detto con un esempio, ad uso di chi magari fatica a seguire: l'uomo non può librarsi in volo, anche se sarebbe davvero piacevole; per farlo, deve ricorrere ad un artificio, l'aeroplano, ma l'aeroplano non permette, per definizione, un volo libero, si va dove vuole il pilota e al prezzo che la compagnia aerea impone. Ebbene, questo è il rapporto fra desiderio marxiano e struttura artificiale statuale.

La Storia ci offre molte prove di questa osservazione: pensiamo al leninismo e allo stalinismo come ricaduta storica - ed unica sulla quale si possa formare un giudizio pratico e concreto - del pensiero marxista; scendiamo in Sud America e vediamo cosa succede a Cuba o nello stesso Venezuela. Per non dire, ovviamente della Cina, in cui il totalitarismo è stato dapprima forza per l'affermazione del comunismo ed oggi, curiosamente, per l'affermazione del capitalismo.

Le stesse BR, in Italia, tentarono di affermare il Comunismo uccidendo degli innocenti, ponendosi pertanto come forza antidemocratica. E al G8, pensiamo ovviamente a chi manifestava scientemente con violenza (non dunque le persone in buona fede che si trovarono coinvolte in una storia più grande di loro): la simbolica immagine di Carlo Giuliani - che certo non meritava quella fine - testimonia in maniera assolutamente icastica, scolpita su pietra, queste osservazioni, anche se per chi è emotivamente coinvolto nella vicenda è difficile, comprensibilmente, ammetterlo.

Non consta, pertanto, una società democratica e comunista assieme, proprio perché la natura umana, e delle cose, lo impedisce. Semmai, l'affermazione di ideali solidaristici risulta possibile nell'ambito di una società liberale democratica, dove tutti hanno la possibilità di produrre e appropriarsi di beni - come in U.S.A. - o in società socialiste, in cui il mercato si coniuga all'affermazione dei diritti: pensiamo, se non all'Italia di Bettino Craxi, almeno alla Svezia di Olof Palme. Una buona sintesi potrebbe essere quella del c.d. liberal socialismo, dove i soggetti sono liberi, e uno Stato "minimo" tutela unicamente i più deboli con l'aiuto dei più forti, realizzando una società equa.

Letto alla luce di queste osservazioni, che penso imparziali e condivisibili anche dai più occhiuti dei miei critici, "Il manifesto del partito comunista" (1848) di Marx e Engels risulta uno dei libri più mal interpretati e perniciosi della storia dell'ultimo secolo e mezzo. Peggio ancora di libri di aperta propaganda, che non avevano, in sé, il germe della falsa profezia, passando dall'oppio dei popoli della religione all'eroina del Comunismo (passatemi la battuta, va).

Questo non tanto per le idee in esso veicolate - parto di una filosofia post-hegeliana con attenta elaborazione teorica ma scarsa lungimiranza pratica - le quali potrebbero risultare addirittura condivisibili sul piano astratto e meramente ottativo, quanto per la omessa individuazione dei rischi connessi all'affermazione del Comunismo ed alla conseguente doppiezza di ogni pensiero politico comunista, ed organizzazione partitica comunista, che pretendano, al contempo, di essere democratici.

Rischi che i due autori non hanno identificato, forse per un colposo errore di prospettiva, ma che sono stati sottaciuti soprattutto dai loro successori, e da molti politici contemporanei in Italia, nonostante la "falsificazione storica" delle tesi marxiane; questo, nonostante alcune tesi "miglioriste", è avvenuto almeno fino alla nascita dell'Ulivo prima e del Partito Democratico poi i quali, riallacciandosi al modello liberal-socialista, hanno ricomposto la frattura fra democrazia e pensiero di sinistra da sempre presente in Italia.

Frattura che ha costituito il punto debole della sinistra e che tutti ci auguriamo venga superata per l'affermazione di una matura democrazia dell'alternanza anche nel nostro Paese. Democrazia dell'alternanza che si nutre di utopie ragionevoli (quello che è nella nostra possibilità fare, qui e ora) e non di utopie assolute (quello che potremmo fare, se...), da sempre il peggior nemico dei migliori riformisti.

So che le mie parole possono essere dure; il tema fra i più delicati. Chiedo, però, educazione negli interventi e correttezza nei commenti successivi.

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