La sensazione è che finirà per dividere, nel modo più banale possibile. Tra destra e sinistra.

Perché sta volta Zalone parla di Africa e migranti, oltre che d'Italia e italiani. Italianismi. Fa un film più strutturato, con una narrazione più accurata (nasce da un'idea di Virzì, che è co-sceneggiatore), spunti di stringente attualità, scenari di guerra e deserti. Prigioni e barconi.

L'ambizione è puramente obliqua, quasi una preterizione. Mentre mi faccio beffe dei problemi dell'Africa, te li spiattello in faccia. La casistica è variegata, Zalone recita da sempre il menefreghista italico e qui ha gioco facile a sputacchiare sui problemi dei migranti, concentrato com'è solo su se stesso, sempre. Alcune trovate sono buone, ad esempio accostare l'inferno delle tasse italiane con l'inferno della miseria africana. Il nostro, piuttosto che tornare e pagare i debiti, esclama: “Meglio l'Isis!”.

Lo spettro di possibilità è ampio: gli sfottò si rivolgono ai pruriti fascisti come ai sogni strambi di un paese completamente africanizzato, con una nazionale di calcio nera al 100 per cento, e persino il David... con l'attrezzo grande. Il becero luogo comune, per infastidire sia destra che sinistra. Non c'è nulla di realistico, ma a iperbole risponde iperbole. La condanna è rivolta a entrambi. Ma entrambe le fazioni capiranno?

Alla fine, non emerge quindi una lettura pietistica o ciecamente faziosa. È faziosa solo perché parla a una opinione pubblica ormai radicalmente schierata, scissa in due. Ma qui non si parla di migranti dal solito salottino, Checco si muove tra loro e diventa impossibile continuare a etichettarli con un nome collettivo. Si perde anche il senso del discutere tra pro e contro, perché ognuno di essi è un individuo, pronto anche a tradire i compagni di viaggio.

Si ride meno questa volta, ma questo purtroppo non innalza la qualità delle rare risate. Si ride quasi sempre per i soliti giochetti alla Zalone, che vanno benissimo, ma si nota un po' la fusione a freddo tra lo spirito più caciarone di Checco e l'ironia più fine di Virzì. Si sobbalza un po', ma la visione scorre via senza grandi intoppi, complice una grammatica un po' meno rudimentale.

Dividerà, perché un film che ambisce a certi numeri incontra sicuramente una fetta di italiani recalcitranti, e già sono spuntati sui social certi politici (di entrambe le parti). Non importa se nel film si sfottono tutti, anche i giornalisti-divi che vanno a fare reportage egocentrici tra i migranti, o i politici da quattro soldi (e non tanto quelli contro, soprattutto quelli pro immigrazione). È una pernacchia a tutte le ipocrisie che riempiono l'Italia e i giornali, ma credo che verrà recepito solo come simpatizzante verso i migranti.

E probabilmente a Zalone va bene così, sono danni collaterali preventivati, purché si vada a vederlo. Non credo gliene freghi davvero qualcosa di dire la sua sul tema, anzi, non credo l'abbia nemmeno un'opinione rilevante. Lui come milioni di italiani chiacchieroni. Qui infatti si procede alla puntiforme pratica dello schiaffone generalizzato, senza molto altro da aggiungere.

Non restano grandi messaggi, non ci sono letture particolari. È la bischerata di un comico che può permettersi tutto e in questo caso sfrutta appieno gli assurdi livori che attraversano l'Italia. E gli incassi record del primo giorno gli danno clamorosamente ragione. Poi magari calerà, se circolerà la voce che è un film pro-migranti. Ma intanto...

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