Clint se ne sbatte altamente dell'intrattenimento, della patina e delle lusinghe estetiche. Fa un film puramente politico, eppure calato nella vita normale dei suoi protagonisti, pieno zeppo di dettagli cinematograficamente quasi respingenti. Più che cinema, siamo nei paraggi del documentario giornalistico, caratterizzato da una chiave di lettura evidente, già presente nei precedenti film. Eastwood parla della necessità di eroismo nella quotidianità, parla di quell'infinita schiera di eroi normali che in due minuti possono scegliere di salvare centinaia di vite oppure nascondersi sotto un sedile ad aspettare il peggio.

Rispetto ad American sniper e Sully, fa un lavoro ancor più scarno e lineare, quasi frivolo (ma solo in apparenza) nel seguire le esperienze dei protagonisti. Ma quei dettagli banali sono necessari a dare un quadro in realtà squisitamente politico. I tre ragazzi non sono dei soldati eccellenti, non sono degli uomini fissati solo con la guerra. Sono anche loro dei "cazzoni" che si fanno selfie e si stordiscono di alcol in discoteca. Ma hanno una cosa in più, hanno le capacità e le conoscenze tecniche per intervenire in caso di emergenza. Quei tre americani salvano un treno pieno di europei che altrimenti avrebbero assistito inermi alla loro fine.

Non sono meglio di altri, non sono perfetti, anzi, vengono sostanzialmente messi ai margini dai parametri rigidi del sistema. Non sono degli americani modello come poteva essere Chris Kyle, cecchino infallibile, o Sully, pilota straordinario. Sono dei mezzi falliti, ma quando c'è da rischiare la loro vita per salvare la "patria" non hanno dubbi sulla necessità di intervenire e sono materialmente capaci di farlo. Ognuno di noi può e deve essere un eroe quando i casi della vita portano a momenti di particolare gravità.

La "Repubblica ideale" di Clint Eastwood chiede che ogni cittadino sia un pochino anche soldato, non per manie guerrafondaie, ma per pubblica utilità, per necessità di porre un argine a ciò che viene definito come "il male". Non si discute in questa sede dell'esattezza o meno di quella visione molto netta, si parla della necessità concreta di sapersi difendere. E non è ovviamente casuale che siano tre americani a intervenire. Anche un soldato mediocre può salvare centinaia di vite, ma senza quella minima preparazione probabilmente si sarebbe solo offerto come agnello sacrificale. C'è anche il caso e la fortuna, ma c'è soprattutto la coscienza della necessità di intervenire per salvare gli altri, e una minima preparazione nel farlo.

Traslando tutto questo in termini geopolitici è facile leggere la critica a un'Europa che spende poco per difendersi e ripudia la guerra come se ci si potesse offrire come bestiame ai macellai, sperando che vada tutto bene, che le minacce vengano sventate prima che diventino reali. Ovvio che il discorso è più complesso, ma sicuramente la lettura ha un suo fondamento ed è coerente con il percorso iniziato nei precedenti lavori.

Un cinema senza orpelli, senza troppa enfasi (salvo il discorso finale di Hollande), essenziale, che pone premesse ampie e da vagliare bene, per poi farle deflagrare in pochi intensissimi minuti. L'idea della provvidenza e della predestinazione non va presa alla lettera: non credo sia una visione religiosa del regista, ma una suggestione necessaria a sentirsi fondamentali per il bene comune. É un Credo, un senso di responsabilità che porta ad agire senza esitazioni quando le circostanze lo richiedono. Ed è una spinta opposta all'individualismo lassista che avanza. Serve affinché le persone si sentano determinanti per le vite degli altri, ed evitino di pensare che sia sempre e solo lo Stato a poterli e doverli salvare. Lo Stato è fatto dagli individui e sono loro a dover agire in prima persona. Non è quindi un discorso di amore per le armi, non è un'ossessione bellica, è la nitida valutazione della necessità di pesi e contrappesi per preservare la civiltà occidentale dalle minacce esterne. E questo va ben oltre la visione a stelle e strisce, è un discorso di semplice e inflessibile razionalità. E proprio perché i protagonisti non sono figure straordinarie, il messaggio socio-politico generale di Eastwood spicca in modo ancor più nitido. La storia perfetta, e reale, per rappresentare la sua Repubblica ideale. Che contempla anche il lassismo iper-consumista, pur prendendolo in giro, ma continuanando a ritenere fondamentale una certa preparazione e senso del dovere quando bisogna affrontare il peggio. Come dicevano i latini, "Si vis pacem, para bellum".

(Sinceramente, cinema molto più scomodo e "coi coglioni" del calderone di polemiche preconfezionate di Tre manifesti a Ebbing)

7/10

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