E’ difficile  parlare di un gruppo, o meglio, di persone, che nel giro di 6-7 anni hanno rivoluzionato il modo di intendere la musica elettronica.

Moebius o Roedelius si incontrano nel lontano 69’ nel giro dello "Zodiak Free Arts" club e di li fino al 76, con diversi gruppi, danno vita ad una serie di opere dalla portata storica immensa. Potete dire che non vi piace la loro musica, che è datata (e si sente), ma non potete  mettere in discussione il valore storico di questi due personaggi che, senza mezzi termini (assieme a pochi altri) hanno dato vita all’elettronica popolare,  prendendola in prestito dalla musica colta e inserendola in strutture via via più vicine al rock e al pop.

Con i primissimi Kluster i due, assieme a Schnitzler, coniano un linguaggio difficile, sperimentale, in cui strumenti acustici vengono distorti e domina una forma espositiva libera, improvvisata, quasi rumoristica. Un linguaggio che poi Schnitzler manterrà per gran parte dei settanta (come solista) e che ritengo forte ispiratore dell’industrial  che sarà a venire. Conrad poi se ne va, restano Moebius e Roedelius, cambiano nome e diventano Cluster e incidono il loro primo album nel 71’: “ Cluster 71”. La musica cambia e il duo si avvale delle nuove strumentazioni elettroniche: droni di synth riecheggiano ovunque su un tappeto di suoni cosmici che proiettano l’ascoltatore in un’altra galassia. Opera che assieme ad “Alpha Centauri” rappresenta il primordio dell’elettronica ambientale che arriverà a maturazione l’anno dopo con “Irllicht” e “Zeit”. L’anno successivo arriva il secondo dei Cluster che completa e affina l’arte espressa finora dal gruppo fondendo in modo eccellente atmosfere e sperimentazioni industriali.

Zuckerzeit, “Il tempo dello zucchero”, esce due anni dopo. Il suono si addolcisce, vira profondamente verso lidi più accessibili eliminando le asperità dei dischi precedenti e va ad inaugurare una nuova stagione per il duo e per la musica tutta: quella del pop elettronico. La struttura dei brani cambia radicalmente: da composizioni estese e improvvisate si passa a canzoni di breve durata e strutture armoniche semplici  basate su progressioni tipiche della musica popolare. La maggior parte delle composizioni si basa su giri di pochi accordi sostenuti dal sequencer su cui si innestano splendide linee melodiche di synth, il tutto accompagnato da una sezione ritmica  dinamica e coinvolgente. Basta ascoltare l’opening track  per capire di cosa stiamo parlando. “Hollywood” folgora al primo ascolto. Mai avrei pensato che un brano così semplice potesse rivelarsi tanto rivoluzionario. Perché?

Nel 74 mai si era udita musica elettronica così immediata, estroversa, oserei dire ballabile (solo i Kraftwerk di qualche anno prima avevano avvicinato questo risultato). E’una forma canzone priva della classica struttura strofa ritornello, in cui il pattern armonico iniziale si protrae per tutta la durata della traccia e lascia affiorare, in superficie, mirabolanti fraseggi sintetici, quasi alieni, a cui se ne sommano via via di nuovi. Il risultato è uno stile unico che usa i nuovi strumenti tecnologici in modo giocoso, divertente che si va a contrapporre alla seriosità e al misticismo di molti contemporanei.

Lo stile vira già dal successivo “Sowiesoso” in cui le composizioni tornano ad allungarsi mantenendo  però quella freschezza tipica del suono Cluster. Zuckerzeit  rimane quindi una perla unica nel repertorio del gruppo, che partirà da qui per evolvere nuove idee che avremo modo di apprezzare con gli Harmonia e grazie alle collaborazioni con Brian Eno. Una opera da scoprire in tutta la sua bellezza che, assieme al contemporaneo “Autobahn” dei Kraftwerk, aggiunge un’ulteriore sfaccettatura alla prolifica scena musicale dei 70’.

Voto in decimi: 9

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