Una mail compare sugli account dei felici possessori del biglietto per il concerto di martedì 25 giugno 2024, turbandone la tranquillità:

“A causa di ritardi dovuti ai controlli doganali che hanno tenuto bloccato il truck della produzione di Corey Taylor per diverse ore, il concerto è confermato ma inizierà in ritardo rispetto all’orario previsto”.

Quanto ritardo? Non è dato sapersi ma non importa. Ciò che conta è che il concerto si faccia.

Dopo l’annullamento della data austriaca di pochi giorni prima e il rischio che il tour europeo non si facesse affatto (dati i problemi di salute che il frontman di Slipknot e Stone Sour ha dovuto affrontare in inverno), l’idea balenata nella testa di tutti era la stessa: questo tour è davvero tormentato.

Ma alla fine, tutto è bene ciò che finisce bene.

Alcatraz, lo storico tempio milanese del rock è in fermento. La lunga e ordinata fila fuori dal locale si esaurisce rapidamente grazie ai rapidi controlli all'ingresso, che consentono a tutti di prendere posto in men che non si dica. Si abbassano le luci e tra le grida scatenate guadagnano il palco i Siamese, band alternative danese. Il loro metal, fatto di riff potenti e sintetizzatori ma anche di corde di violino, strizza l’occhio a band ben più note come gli Atreyu, senza sfigurare affatto. Mirza Radonjica, frontman della band, sfoggia ottave graffianti, con un growl che ai suoi picchi ci fa quasi preoccupare per la salute delle sue corde vocali. Mirza chiacchiera con il pubblico tra un pezzo e l’altro e rivendica la passione della band per il calcio. Arriva addirittura a percularci scherzosamente, ricordandoci quanto siano state poco incoraggianti fino a quel momento le prestazioni della nazionale italiana all’Europeo iniziato da poco.

Una volta terminata la performance dei Siamese e dopo una mezz’ora abbondante di lavoro, necessaria per sostituire gli strumenti sul palco (eccezion fatta per la batteria, gentilmente concessa dai danesi per motivi di risparmio di tempo), per fare il soundcheck e terminare il mixaggio, il terreno è pronto per i protagonisti della serata.

L’intro sulle note di ukulele, che apre l’ultimo lavoro “CMFT2”, culla l’eccitazione, mentre i nostri entrano alla spicciolata tra le urla della folla.

“Post Traumatic Blues” da fuoco alle polveri e annulla l’attesa. Corey parla tanto con il pubblico, bacia la bandiera italiana che gli viene regalata da qualcuno sotto il palco e racconta di aver acquistato in un negozio di Milano la chitarra che sta impugnando. Ci dice che non era scontato un quasi sold out all’ombra della Madonnina, ribadisce (con un po’ di paraculaggine) che siamo i più bravi a cantare e i più rumorosi del Vecchio Continente. Racconta che il periodo di depressione è alle spalle e che la negatività e la tossicità sono completamente debellate. Con un po’ di commozione, mentre i presenti urlano a gran voce il suo nome, ricorda che non ha mai dato per scontato il nostro affetto e ogni singolo applauso ricevuto. Parole che, unite all’eccitazione per tutta la musica che sta per arrivare, infiammano ancora di più il parterre dell’Alcatraz.

Taylor dedica la splendida “Black Eyes Blue” e la scatenata “Beyond” alla moglie Alicia, presente in un angolo nascosto del palco. Prima di eseguire l’altrettanto emozionante “Home”, ricorda quanto Mrs.Taylor sia stata importante durante la crisi e lo sia in generale nella sua vita. Corey è sensibile e romantico, nessuna recita. I suoi fan e follower lo sanno bene. La maschera è caduta da tempo e lui ci tiene a ricordarlo.

A fare da ponte tra la commozione e l’ilarità, sfruttando l’effetto sorpresa, ci pensa SpongeBob. Un grande classico: una chitarra acustica, un sorriso da simpatica canaglia e la voce di Corey che intona “SpongeBobSquarePants”, seguito a raffica dalla folla, che ride e canta.

Il pubblico elettrizzato scandisce ancora il nome dell’adorato maestro cerimoniere durante gli interludi e spiazza Mr. Taylor ad ogni occasione, tanto da costringerlo a fermarsi a ringraziare.

La scaletta prevede che pezzi del progetto solista di Taylor si intervallino a successi degli Stone Sour ("Song#3", "Through Glass", "30/30-150") e Slipknot ("Before I Forget", "Duality", "Snuff"). I “maggots” più scatenati non si sono risparmiati nel pogo, invadendo il moshpit e alzando il polverone sotto il palco. Ma c’è sempre quiete, dopo la tempesta. La calma l’hanno portata i pezzi eseguiti magistralmente in acustico e cantati dal pubblico dall’inizio alla fine. Tra i più amati e celebrati in assoluto c'è “Snuff”, che non conosce il tempo e stupisce sempre per le emozioni che trasmette. Una cupa ballata che parla di amore e tormento ("Angels lie to keep control…My love was punished long ago" ), delicata e introspettiva, solitamente sussurrata dietro la maschera paurosa di turno, essendo nata in casa Slipknot. Taylor fatica quasi a farsi sentire, tutti cantano con tanto cuore e tanta gola, fino a sovrastarlo (cosa solitamente quasi impossibile).

Unica nota un po’ stonata della serata è la cover “The Killing Moon” degli Eco& the Bunnymen, eseguita in una versione alternativa e un po’ snaturata rispetto al pezzo originale.

Christian Martucci, dal 2014 chitarrista degli Stone Sour e prestato al progetto solista, brilla di luce propria e negli assoli si fonde con la chitarra del frontman amico. C’è grande sintonia tra i due e l’amicizia che li lega rende tutto particolarmente evidente. Vuoi anche per il doppio passaporto di Martucci, non manca qualche parola di stima in italiano, ma non mancano neppure le parolacce, gioco che si ripete durante ogni concerto nel Belpaese, con la complicità del pubblico, che è il principale fomentatore.

Tutto scorre con forsennata naturalezza, nessuno di noi avverte la stanchezza e dopo la solita finta chiusura, i quattro protagonisti concedono il bis, anzi il tris. La splendida "Through Glass" ci illude che il finale confluisca unicamente in riflessione e tranquillità. Niente di più sbagliato. Prima parte la detonazione con un altro pezzo scatenato marchiato Stone Sour, "30/30-150", poi arriva inevitabile l'incontenibile esplosione finale con "Duality", tratto da "The Subliminal Verses", che quest'anno spegne venti candeline. Si rianima il moshpit, le "ultime file" si mischiano con le prime e arrivano anche i più timidi, ben consci che sia imminente l'epilogo di una serata tanto attesa quanto memorabile.

Non è facile gestire ad alti livelli un progetto parallelo come questo, quando si è frontman e fondatore di due band enormi come Slipknot e Stone Sour. Corey Taylor ci è riuscito, portando la sua impronta personale e impreziosendola con i soliti successi. È vero, pezzi come “Before I Forget” e “Duality”, privi del trucco e della teatralità estrema di chi li ha concepiti, perdono in impatto visivo ma poco conta. Questo meltin’ pot metallico non cede il passo alla noia o alla calma. Tra urla e sudore siamo tutti una grande famiglia, al cospetto del nostro padre putativo. Più un amico, verrebbe da dire, se consideriamo cosa ha fatto per noi con la sua musica, senza arrendersi alle recenti difficoltà, peraltro condivise passo passo con il pubblico.

Siamo tutti felici che Corey ora stia bene ed abbia trovato la tranquillità personale.

Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna, si dice. In questo caso, la grandezza viaggia parallela.

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