Sia da subito ben chiara una cosa: i lavori migliori della band sono da ricercarsi nel micidiale trittico che i nostri hanno pubblicato negli anni novanta. A cominciare da Blind del 1991, passando per l'assoluto capolavoro Deliverance del 1994 e concludendo la sporca faccenda con Wiseblood consegnato alla posterità nell'anno 1996. Tre dischi Di HardRockBluesStoner suonati con quella carica e quella furia che da sempre sono una caratteristica dei Corrosion of Conformity.

In The Arms Of God viene pubblicato nel 2005 e vede purtroppo la defezione dello storico e collaudatissimo batterista Reed Mullin, sostituito dallo sconosciuto, almeno per quanto concerne il sottoscritto, Stanton Moore che viene ingaggiato soltanto per la registrazione del disco. Ecco l'unica nota leggermente fuori posto dell'album, con un drumming fin troppo scontato e lineare rispetto a quanto ci avevano abituato nel loro glorioso passato i ragazzi della Nord Carolina.

Ma ci pensano le due chitarre di Pepper e Woody ed il basso di Mike a gettare benzina sul fuoco sulla qualità globale delle dodici canzoni, per oltre un'ora di granitico ascolto. Dosi massicce di Heavy Fuzz che abbondano in ogni brano; un concentrato di Sludge Metal e Southern Rock suonato con una rabbia ed una veemenza a volte del tutto fuori controllo. Un album "spesso", sporco, prodotto in grezza maniera come richiede del resto il genere proposto. Si concedono soltanto qualche raro passaggio controllato, con tanto di chitarra acustica, come avviene in "Rise River Rise"; per il resto una torrenziale cascata di note con abbondante uso di toni ribassati nel suono delle due chitarre ed un distorsore usato a manetta senza pietà.

Hanno voglia di suonare ciò che ritengono necessario principalmente per il loro piacere; non si inventano nulla e guardano al passato con risultati eccellenti. Gli iniziali cinque minuti della Sabbathiana "Stone Breaker" ci mostrano il loro lato più Heavy, con una partenza Blues così lenta e massiccia da farli avvicinare addirittura al Doom Metal. Poi il brano prende una direzione più orientata verso un canonico, ma sempre incisivo, suono Hard grazie all'entrata devastante di un riff suonato da Pepper che è anche la voce trucida e strappata dei Corrosion.

Si prosegue con l'interminabile "Paranoid Opioid" drogatissima, desertica e Stoner tanto da avvicinarsi ai maestri Kyuss; passando poi dalle parti della canzone che preferisco, ovvero gli otto minuti di "Never Turns To More" dove dirigono lo sguardo verso i migliori dischi che ho già segnalato ad inizio scritto. Pesantissime mazzate sonore buttate giù dal quartetto, con rallentamenti e ripartenze che imperversano fino al termine della sconsiderata corsa.

Di un inezia al di sotto del voto massimo.

Coesi, intransigenti, rigorosi...massicci C.O.C...INFINITE WAR...

Ad Maiora.

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