Che i Daft Punk fossero uno dei gruppi più sopravvalutati, questo lo sapevo già. E' inutile per me farsi del nervoso a leggere i commenti di Youtube, mezzi in inglese, mezzi in francese, per condire l'espressione con un rimando alle porche origini dei due minchia della musica elettronica, che però "ne sanno un casino perchè c'hanno il diploma ar conservatorio". Il diploma "ar" conservatorio non significa nulla, lo dimostra Allevi, lo dimostrano loro. Quello che conta è quello che fai, e in questo i Daft Punk sono fuori corso.
Intanto l'album me lo sono ascoltato sparso per il tubo, né intendevo comprarlo, né intendevo spararmelo nella sua interezza per endovena. Ho dovuto centillinare l'ascolto per non rischiare di essere ricoverato all'ospedale più vicino con un prolasso anale di tre metri. "Get Lucky" è la prima che ho ascoltato (ordine sparso, chiaramente). Il sound è una citazione al peggio degli anni '80, indagine armonica pari a zero, statica, prevedibile, abusata, la stessa di mille altre canzoni (tipo quella che fa "my dream is to fly, over the rainbow so high ecc. Andava di monda non molto tempo fa nelle discoteche) e poi c'è quell'altro minchia di Pharrell. Uno dei tanti neri che rovinano l'immagine e il potere culturale di un popolo che ormai si basa su un neo-folklorismo di auto-mobili truccate, sederi e verdoni. Poi un "bellissimo" assolo in voce robotica, che ricord più che altro una zanzara notturna che solletica le orecchie e disturba il sonno. Nel complesso però mi aspettavo peggio. Poi è il momento di "The Game Of Love". Atmosfera più blanda. Inutile dire che armonicamente c'è ben poco di interessante, a parte qualche ornamento elettronico dal gusto "notturno". Nel frattempo mi accorgo che la voce elettronica "autotunata" è insopportabile, melensa e stucchevole. Le melodie soprattutto della voce sono inutili seppur dinamiche (quasi sempre nella musica leggera moderna la melodia della voce tende a mutare poco. In metrica a più sillabe può corrispondere la stessa nota, per poi mutare per un paio d'altre e infine ritornare su quella di prima. Questo in contrapposizione a un'infinità di musiche tradizionali, da quella irlandese a quella sarda, ma anche a musiche più moderne ma, infatti, di livello maggiore di questi "geni da conservatorio" di Daft Punk). Questo perchè probabilmente, utilizzando autotune, si divertivano a giocherellarci a caso. Poi ascolto "Within". Iniziamo bene: l'intro di piano è meglio di qualsiasi brano di Allevi. Poi sento il ritornello. Quel ritornello è la cosa più schifosa che abbia mai sentito. Infantile, zuccheroso, una brutta di sigla di qualche cartone animato per bambine. Dopo aver vomitato un paio di volte mi riprendo e colgo un paio di trovate batteristiche inusuali per musica di così basso livello. Beh, nell'immenso panorama musicale non sono niente di pregevole e soprattutto un paio di cambi di accento servono a ben poco quando la canzone fa cagare. E' il momento di "Lose Yourself To Dance". Intanto noto che il gusto anni '80 non va via neanche con l'acido, con le sue schitarratine e le vocette in falsetto. Noto con gioia che anche qui trovo di fronte a un brano che non cambia mai giro di accordi. Dico "con gioia" perchè mi sto divertendo a odiare questi qua. Melodicamente siamo di nuovo al punto di prima. Una melodia un po' meno stupida di "The Game Of Love", peccato che il ritornello sembra un estratto da quell'altra canzone da discoteca che faceva "Please Don't Stop The Music", se non fosse per quella voce robotica che dice tipo "cmon" in sincope, pseudo poliritmica 3/4 su 4/4 che ovviamente si estingue dopo un paio di battute per poi ricominciare sulla scala dell'accordo successivo. Dico: una canzone di otto minuti abbondanti, magari è più interessante e sperimentale (gruppi così devono puntare sulla sperimentalità per non fare schifo, mi sa che non sono capaci). Questa è "Touch". Inizio promettente, atonale e ferroso. Poi altre schitarratine anni '80 (ancora), poi suoni notturni ultra-acuti. Armonia natalizia, sound natalizio. Un po' di gusto latino e allegria soft un po' vintage. Niente di impressionante, se non che forse finamente la progressione armonica muta. Voce statica, melodia idem. Sono sicuro che l'utilizzo degli archi faccia impazzire quei fan che tirano fuori la storia del conservatorio per legittimare la credibilità di questo gruppo di merda. Altra atmosfera natalizia con i cori di voci bianche. A fine canzone mi accorgo che la progressione armonica è sempre stata la stessa, vagamente differente qua e là, e che probabilmente il compositore nel momento della creazione volesse partire da una matrice jazz-crooner per dare un tocco vintage. Mi aspettavo peggio, probabilmente le sborratine elettroniche in giro per il brano mi han distratto dall'affascinante vastità del nulla che esprime "Touch" e in generale tutto l'album e in generale questa band di merda.
Poi mi rifiuto di ascoltare il resto. Dopo ben cinque (cinque?) canzone ascoltate e vomitate più e più volte evito di proseguire, mi pare che siano abbastanza per poter tirare le somme sull'opera e sull'autore. Gente povera, che dovrebbe andare a sturare i cessi delle feste della birra in germania, altro che conservatorio. Musicisti che dedicano il loro tempo e il loro talento (sempre che ce ne sia, infatti non c'è) a rovinare questo mondo meritano la morte. Ingannatori di altri poveri (non solo intellettualmente) che si bevono tutte le loro stronzate come se fosse acqua di montagna. Non c'è innovazione, non c'è complessità, non c'è cura, non c'è l'esperimento, non c'è amore, non c'è tradizione, non c'è significato, non c'è rabbia, non c'è conservazione, non c'è un emerito cavolo di niente. Che cosa ho ascoltato? Ho ascoltato la povertà del futuro che attende i giovani d'oggi. Per fortuna eh! A morte la gioventù, se poi ascoltano questa roba. I Daft Punk e la loro musica "mongola".
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Altre recensioni
Di Darius
Un autentico gioiellino sonoro, un monumentale ponte fra il 'sentiment' dei Settanta e la contemporaneità.
In un panorama dove fare revival è quasi obbligatorio, i Daft Punk sfornano una piccola Bibbia del buon disco che guarda indietro senza estremizzazioni.
Di Ilpazzo
Se vuoi vivere bene devi avere un po’ di James Brown nel sangue, altrimenti sei un cazzo di zombie e non lo sai.
Addio Tunz Tunz, ritorno alla melodia di un tempo, Voci Daftpunkiane e sintetizzatori al servizio del funky più ballabile del mondo.
Di ElectroKite
"Questo nuovo disco è coraggioso, e risulta fresco e retrò allo stesso tempo."
"Random Access Memories stupisce molto per la sua varietà, mescolando modernità e vintage alla perfezione."
Di Gardenio
"Noioso, moscio, autoreferenziale, scialbo, inutile, vuoto, pretenzioso..."
"La produzione ottima però non cambia il giudizio dell'album, musicalmente povero, senza idee e banale."
Di the dude
"Delusione totale"
L'album si presenta come un accozzaglia di orribili canzoni pop, oscillando dai pezzi più commerciali a quelli più lagnosi.