Nulla mi è consentito dire che non sia equivoca volontà intenzionata di questa mia identità vanita, il movimento è la sua negazione, soggetto alla necessità del nome come rassegnazione al destino, così come tutto l'interdisciplinare mi indisciplina nel de-genere estetico mi sono degradato anche a re-censore.
Questo che state per leggere non è il "punto di vista del cazzo" del critico in giacca e cravatta al soldo di qualche testata.
Con Inland Empire Lynch di fatto estromette il soggetto come entità unica ed inscindibile, per lasciar spazio alla pluralità delle sensazioni, alle incoerenti sbirciatine sotto le sottovesti, delle tante sottovesti indossate dalle tante personalità sognate in un sogno di morte (vedere please la sequenza enorme dell'accendino davanti alla morente Dern) di Laura Dern.
Inland Empire, il de-profundis di Lynch, è gia in Strade Perdute l'io si scindeva in 2 personalità distinte (nell'uomo che sognava il suo doppio e che immaginava una donna scissa in 2, la Arquette mora e moglie infedele e quella bionda vamp l'amante), qui in Inland Empire la cornice soggettiva si spezza del tutto, ma se ci pensiamo bene è tutto il resto del mondo reale che si sconfessa da sé.
Mentre gli Spielberg dell'industria si ingegnano di ricucire, sintetizzare, esorcizzare in riconoscibile e organizzato spettacolo, i Lynch ci dicono che la verità e la finzione nell'odierna società massificata sono diventate la stessa cosa, senza più confini divisori, Lynch è uno dei pochi che ha capito che in questa società tumulata a livelli di ebbrezza maniacale e subgenitale di sociale e di mondano, è impossibile ormai scindere realtà da finzione, è dura affermare con precisione cosa sia vero e cosa sia falso, se un fatto sia vero o falso, dato che non conta la veridicità di un fatto accaduto ma il convincimento che il messaggero di questo fatto (che collide spesso volentieri con la figura del giornalista) riesce a trasmettere al pubblico-zombi.
Lynch pare appunto aggirare queste domande, il film dice chiaramente che non esiste e non è mai esistito il vero e il falso, ma lo diceva anche Kurosawa negli anni 50 con altri mezzi e con un'altra poetica, esiste solo la morte, il resto conta molto di meno, o meglio, non dovrebbe contare affatto, il resto conta solo come requisitoria costruttrice di un universo, del resto come dice il tipo di colore accanto alla morente Dern: "tranquilla non ti sta accadendo nulla, stai solo morendo".
Ma Lynch aveva fatto capire di aver superato la trama gia con il suo esordio fulminante Eraserhead, aveva già superato se stesso, e superando se stesso, si supera anche il pensiero pervenendo dunque al de-pensamento, laddove i critici ancora pensano, intrappolati nelle loro strutture manichee ed ancora sbagliano metro nel giudicare opere fuori dalle unità aristoteliche di tempo, spazio e azione, Artaud definiva il critico come "colui che cerca ostinatamente un letto in un domicilio altrui", c'è questo dissesto, io sento il loro disagio quando parlano di certe opere poco commerciali, cosa fa questa critica? Riconduce tutto al senso, ad una visione di senso assai personale, truccata da oggettività, mentre qualunque critica dovrebbe essere di tendenza, prima si qualifichi il critico dinanzi a David Lynch il regista, "non si da critico fuori dall'artista" diceva Oscar Wilde, Feuerbach l'aveva già detto prima di Wilde, l'artista è il critico, il critico quindi deve essere solo l'artista, qualunque intervento critico è posticcio, è un appendice all'opera d'arte, ma una vera opera d'arte non può tollerare mediazioni sotto forma di recensione, non si può tollerare questa spocchia del critico letterato che deve saperla più lunga del grande artista, a me pare che sia pericoloso contrabbandare questa idea mansueta, conciliante e buona di questo cane da pastore del critico che infondo è uno spettatore come gli altri ha solo il difettuccio di scrivere, non è vero, è una persona che ha un ruolo istituzionale assai forte, che ha capacità di influenza notevole e che soprattutto ha delle possibilità sociali che vanno ricordate, quindi fa parte di un sistema culturale gia forte per suo conto, e nel momento in cui si vuol presentare come qualcosa di innocuo questo non è vero, non è innocuo, chi scrive non è vero che scrive sempre di troppo, si scrive anche di meno e cmq le parole fanno male sempre. O si fanno dei saggi e studi critici approfonditi su certi GRANDI o si deve tacere.
Il cinema di Lynch consiste in un ventaglio molto ampio di sfumature semantiche e formali, spesso inconciliabili e assai difficili da inventariare. Il de-pensamento dunque, vediamo in breve di analizzare di cosa si tratta e di come si differenzia dal cinema dei parvenù degli Spielberg, ovvero da quel cinema di invertiti, di droghieri, di trovarobe, di confezionatori, è un cinema del senso e non del controsenso, un cinema del detto, del già detto e non del dire che sconfessa il detto.
Il cinema del non testo a monte dunque, della non sceneggiatura a monte, della non trama a monte, in questo tipo di arte la trama ha la medesima importanza che puo avere il parco lampade, la musica, un pezzo di legno di catinella qualunque, una sedia disposta in un certo modo, un barattolo, chiaramente affidato il tutto alla superbia dell'artista, ma sentiamo i critici cosa ne pensano dei geni sperimentatori :" vogliamo da Lynch un film lineare, mannaggia, questi artisti pazzoidi, che non si mettono mai un freno! Sempre a cercare vie alternative, sperimentali e azzardate per raccontare una storia! Perchè non fa un bel film di genere Lynch, un cappa e spada, d'avventura, d'azione? alla Rambo?".
Lasciamoli un attimo a svernare nella loro ottusa imbecillità e concentriamoci su una scena chiave del film: la sit com surreale e allucinogena della famiglia con la testa di conigli con le risate pre registrate dei telespettatori come fosse i Robinson o Mel's Dinner: non è altro che l'ennesima bastonata di Lynch nei confronti del sistema mediatico e del suo becero pubblico schiavo, già Mulholland Drive era un concentrato serratissimo di graffiante critica mediatica versus Hollywood fatta con oggetti moderni, e fatto con la consapevolezza di quanto siano ridicoli gli esseri umani alle prese con le loro futili categorie, cosicché dal tema del doppio di strade perdute e Mul.Drive Lynch perviene al tema del molteplice sino all'agnizione finale. La trama, ovvero "misero oppio per spettatori appena vedenti" cede il passo all'ineffabile, lo sconvolgimento emotivo diventa fine ultimo della creazione. Un fatale, completo abbandono, (de)costruito (de) pensato, e irreparabile, Inland Empire è un puzzle dissacrante, eppure ironico, deflagrante e sensuale. Il buio stavolta non inghiotte nessuno, la vita stessa si svolge nell'ombra. Il digitale, volutamente e perennemente rovinato, sgranato e a bassa risoluzione, serve a immortalare il sogno e la vita. Nulla è più percepibile o tangibile, i volti si trasformano in orrende espressioni baconiane, le vite si riannodano. Rimane la terrificante penombra delle violenze, il simbolico degli uomini-coniglio, il ripiegarsi della storia su se stessa.
La televisione occidentale pubblica/privata/mista è totalmente edonista che rende anche questo Papa buono un ometto da defilé di Giorgio Armani, un tempo in prima serata sulla rai potevi vedere un film di Claude Chabrol o Dino Rrisi, ora è tutta una dilatazione della pubblicità Rocchetta, volti di plastica, anime che si identificano con i testi di Pingitore e Zelig mingendo dentro lo schermo l'ossimoro dell'ontologia possibile in quanto rappresentatazione.
E che miseria l'ostentazione risibile di questo nuovo opinionismo di massa nella stampa straripante e nella società dello spettacolo e dell'arte, delle zuffe tv, delle tribune politiche, nei convegni accademici, e negli audiovisivi intrattenimentacci, dove ciascuno a turno è straconvinto di dire proprio la sua, con l'illusione magari che quello che dicono avrà un qualche peso nella dialettica, tutti quanti poi prosternati davanti alla morale del senso comune, alla strisciante servilissima venerazione dei ruoli, alla verità verbale coniugata alla più insulsa stucchevole frenesia del moto a luogo, alla rappresentazione insomma dei codici di stato, come se a tanta indecenza non provvedesse la virtualità della vita tout court, e non se ne esce piu; la televisione italiana (o americana che sia) pubblica/privata/mista sconta la profonda overdose di realtà della diretta di Vermicino; questo flusso disgustoso che solamente Mario Schifano è riuscito nelle sue stupende fotografie pitturate a dislocare totalmente dall'inevitabilità dello scorrere del tempo (la televisione come Gerard Grisey) continua a cibarsi di corpi doppiamente virtuali: entrano come corpi (siamo dei corpi non abbiamo un corpo) virtuali: ovvero adesione totale non tanto al cangiare delle mode ma all'immutabilità del feticismo più spinto per azzerarsi attraverso la tecnologia televisiva: non è un riflesso spietato dell'inorganico non si arriva a tanto, solamente vi è questo azzeramento nudo, che rende la scatola illuminata come un immenso documento filmantesi per gli antropologi del futuro.
I David Lynch rimasti nell'arte si trovano ora a segmentare non solo tempo e spazio ma i gesti, in un cortocircuito diverso per ogni programma diverso, che aveva l'onore di ospitarlo: ridicolizzando i critici e il pubblico servo della trama non per la loro appartenenza alla categoria "oggetti culturali" ma come corpi virtuali che cercavano di imporsi come corpi reali pensanti.
Fabrizio Corona o la Franzoni o il Papa che "appare" su questi schermi azzerando, dunque rendendo possibile nell'accezzione più Musiliana del termine l'esistenza di Dio sono la stessa cosa: corpi senza sesso che attraverso rituali che sono tante "cadenze perfette" si sacrificano in nome del capitalismo più belluino.
Il dualismo cinema/televisione quindi, è questo secondo la mia analisi il passo ultimo che ci offre Lynch con questa sua ultima fatica (col senno di poi si può capire cosa poteva rappresentare l'omino bianco con cinepresa sulle spalle in strade perdute), personalmente il mio Lynch preferito rimane in Strade Perdute ed Eraserhead ma riconosco che con Inland Empire egli si sia spinto ancora più in là, in territori raramente battuti, forse solo da Derek Jarman, Jodorowsky, Fellini, Glauber Rocha, Dreyer, Bunuel (in alcune cose), Godard, Tsukamoto, Fassbinder (in alcune cose) e Carmelo Bene soprattutto col suo Nostra Signora dei Turchi, laddove torbido è l'elemento ipnotico che diventa vibromassaggiatore encefalico.
Un ultimo appunto: se ci pensiamo la regia televisiva nelle inquadrature non ammette ambiguità, si emula la carta "patinata" delle riviste gossip. In questo cinema del depensamento non si fa dell'arte, non si tenta nemmeno di imitarla, la diretta televisiva è l'unica possibilità per il detrattore: confidare nell'alea, esempi: il parlante esce dal ruolo sbagliando la parte; il presentatore che scendendo le scale di Sanremo inciampa e cade in diretta rotolando per le scalinate; stacchi improvvisi dovuti all'arresto cardiocircolatorio del regista etc. cortocircuiti insomma, linguaggi che non incontrano tempestivamente il logopedista di fiducia. Ecco, quello che potrebbe succedere in tv se qualcuno sbagliasse o si lasciasse andare in preda ad una follia sanissima e magari in diretta (ma che non succede quasi mai ahime) lo si affronta finalmente in questo cinema del Significante.
L'unica cosa che non mi ha convinto di questo monumento di 3 ore?? L'ultimo finale (sì, perché finali ne ha più di uno) quello dell'abbracio, troppo svenevole benché irreale e certe musiche non proprio indovinate (Beck?!), ma per il resto da guardare e riguardare con l'emozione della prima volta.
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