Sono solo. Piango.
Davanti a me uno schermo che trasmette storie, ma che in realtà è fisso su quel bianco ombroso, attraversato da molteplici puntolini impazziti, come se fossero uomini che attraversano la strada.
"Inland Empire" comincia.
Comincia con nuances di rarefatto bianco grigiastro a coprire il volto di due ignoti personaggi parlanti in silenzio. Anche in queste semplici inquadrature, nei miracolosi e intensissimi pianisequenza cominciano i brividi. Piango ancora di più.
Lynch, maestro indiscusso, è riuscito ancora una volta a straziare il mio cuore. L'ha fatto con gentilezza, inquietandomi e distruggendomi. La ripresa fredda e stilisticamenta à l'avant-garde dei suoi digitalismi spinge i suoi polpastrelli dorati in fondo alla mia anima perversa.
Un film che è l'arte catturata, come una farfalla sfoggia la sua bellezza e poi viene distrutta da un retino. Arte catturata ed espressa in celluloide.
Sono quelle immagini così macabre, inquietanti, improvvise, immobili ciò che più mi hanno sconvolto: tre ore incollato allo schermo del televisore con la bava alla bocca.
Questa non è la solita arte spiccia e di difficile comprensione da far tirare il cazzo all'intellettuale più retrogrado, non è la solfa che spiazza il pubblico e la critica, ma di cui nessuno osa parlar male. Questo è un delirio nato dal piacere di fare cinema e che contemporaneamente è cinema in tutto il suo essere. Che poi agli occhi di molti "Inland Empire" possa sembrare solo una furia epilettica di immagini prive di senso, beh, questo è semplicemente relativismo sterile, puramente incosciente.
Laura Dern, con le sue espressioni talmente struggenti da inquietarmi è divenuta la mia dea per ben tre ore di film, che è esperienza extrasensoriale disturbante e sconvolgente, che affonda le sue radici nell'inconscio umano.
Incredibile il fatto che davanti a quei 172 minuti di puro cinema lo spettatore non possa reagire: non ne è in grado: perde l'orientamento subito dai primi 40 minuti e non ritrova più sé stesso, perso in un limbo astratto e inconfutabile. Labirintico, vampirico, sconnesso, sofisticato. Bellissimo.
Adesso aspetto solo qualcuno che spunti dal mio televisore impazzito e mal sintonizzato e che mi baci.
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Altre recensioni
Di easycure
È proprio il senso ciò che invece manca a Inland Empire, rispetto a cui non si può parlare di molteplicità di interpretazioni, ma semmai di assenza di interpretazioni tangibili.
Lynch inserisce in maniera coscientemente sadica un ulteriore epilogo, che sembrerebbe quasi definire tutto ciò che si è visto prima una gigantesca farsa.
Di Galakordi Urtis Krat
Il cinema di David Lynch esige un pubblico senza aspettative.
Tutto, ma proprio tutto, a livello di trama, viene spiegato nei dialoghi.
Di poetarainer
Un esercizio dadaista nello sviluppo della storia.
Lo spettatore mai può essere passivo: deve estrarre e tessere da solo i fili di una trama intricata e polisemica.
Di C.H.A.R.L.I.E Nokia
Inland Empire, il de-profundis di Lynch, è un puzzle dissacrante, eppure ironico, deflagrante e sensuale.
Non esiste e non è mai esistito il vero e il falso, ma lo diceva anche Kurosawa negli anni 50: esiste solo la morte, il resto conta molto di meno.
Di LKQ
David Lynch non è tanto sfuggente quanto enigmatico: un bersaglio mobile per chi lo intervista.
È così emozionante quando ci si innamora delle idee. In un certo senso ci si perde. E perdersi è meraviglioso.