Una "vecchia" regola ormai fissa dai tempi di "Strade Perdute" (ma con l'eccezione di "Straight story") vuole che dei film di Lynch non si capisca fondamentalmente nulla.

Almeno non alla prima. Almeno, soprattutto, non in maniera completa, mai al 100%, mai col la sicurezza della univocità della proiezione. La molteplicità delle interpretazioni possibili è ciò che per me rese "Mulholland drive" un capolavoro assoluto, laddove il caos prima formale e poi interiore rendeva ragione di una messa in scena di desideri, memorie e inconscio fra le più meravigliose e acute mai viste per mezzo della settima arte. Ciò che per me è fondamentale di qualsiasi arte si parli, e ciò che "Mulholland Drive" rispetta a pieno è il Senso. Ogni immagine, ogni messa in scena, ogni formula deve avere un senso rispetto a ciò che esprime, che narra.

Ed è proprio il senso ciò che invece manca a "Inland Empire", rispetto a cui non si può parlare di molteplicità di interpretazioni, ma semmai di assenza di intepretazioni tangibili. Dove dunque un film come "Mulholland Drive" ispirava un tipo di proiezione, di immaginifico incompleto, imperfetto, insicuro, e proprio in questo rivelava il suo splendido compiuto senso, "Inland Empire" si trascina invece in un operazione totalmente astrusa che non ispira, ma pretende semmai che lo spettatore a tutti i costi vi ritrovi qualcosa, stia al passo con una messa in scena forsennata, disorganica, la cui essenza pura e semplice è quella della provocazione, NON dell'espressione. Intendiamoci, Lynch rimane uno dei più grandi registi in circolazione. anzi, uno dei pochi registi ancora definibili tali in senso classico. Il suo rimane un senso dell'immagine con pochi se non nessun pari nell'attuale mondo del cinema; a livello di singole immagini o sequenze, questo rimane a tutti gli effetti un film bello. Ma è appunto qualcosa che ve bene per gli esteti, i quali probabilmente non noteranno che nel mentre in cui il film perde del tutto lo straccio di intreccio con cui è stato introdotto, segue una ferrea catena provocatoria in cui a 10-15 minuti di delirio claustrofobico seguono intermezzi con musica fragorosa, o con improvvise immagini inquietanti, che Lynch dispiega con il palese intento di risvegliare gli interessi di un pubblico che NON PUO' seguire il tutto con la stessa soglia di interesse (figuriamoci poi immedesimazione.. ) ..mentre per concludere Lynch inserisce in maniera coscientemente sadica un ULTERIORE epilogo (dopo il finale innegabilmente meraviglioso, ma difficilmente concepibile come PARTE del film e non qualcosa a se stante, come tutto il resto delle sequenze), che tra l'altro sembrerebbe quasi definire tutto ciò che si è visto prima una gigantesca farsa (ma si mai che intellettualoidi vari lo concepiscano in tal senso..).

Lynch non è nuovo a tali operazioni, già "Fuoco cammina con me" era sembrata una sadica presa in giro degli appassionati di Twin Peaks, anche "Inland Empire" più che ogni altra intepretazione critica possibile, sembra suggerire l'unico innegabile principio della provocazione. La sua disorganicità a me ha ricordato più che altro "Eraserhead"... ma "Eraserhead" era un affresco meraviglioso che si poneva prima di tutto in senso storico come una ripresa del surrealismo, e che soprattutto era tangibilmente una messa in scena di turbe inconsce e incubi legati al viscerale, al carnale e a tanti altri elementi che contribuivano a farne uno dei più genuinamente inquietanti film mai visti sullo schermo. In "Inland Empire" il parossismo manieristico supera invece qualsiasi altro elemento e con questo, pur non potendo assolutamente affermare che sia un fallimento o un film brutto, rimane una delle opere meno riuscite e forse più limitate di Lynch.

Carico i commenti...  con calma

Altre recensioni

Di  Galakordi Urtis Krat

 Il cinema di David Lynch esige un pubblico senza aspettative.

 Tutto, ma proprio tutto, a livello di trama, viene spiegato nei dialoghi.


Di  poetarainer

 Un esercizio dadaista nello sviluppo della storia.

 Lo spettatore mai può essere passivo: deve estrarre e tessere da solo i fili di una trama intricata e polisemica.


Di  C.H.A.R.L.I.E Nokia

 Inland Empire, il de-profundis di Lynch, è un puzzle dissacrante, eppure ironico, deflagrante e sensuale.

 Non esiste e non è mai esistito il vero e il falso, ma lo diceva anche Kurosawa negli anni 50: esiste solo la morte, il resto conta molto di meno.


Di  O__O

 Lynch, maestro indiscusso, è riuscito ancora una volta a straziare il mio cuore.

 Tre ore incollato allo schermo del televisore con la bava alla bocca.


Di  LKQ

 David Lynch non è tanto sfuggente quanto enigmatico: un bersaglio mobile per chi lo intervista.

 È così emozionante quando ci si innamora delle idee. In un certo senso ci si perde. E perdersi è meraviglioso.