Taluni affermano, senza il dubbio alcuno, che i Deep Purple senza Ritchie Blackmore siano un corpo opaco, svuotato di quella fucina chitarristica e compositiva che irradiava di luce, coloro i quali avevano la fortuna di assistere ad un concerto della Mark II. Immaginate dunque, come possa aver reagito il fan più "estremista", alla notizia della dipartita del leader, del padre padrone. Lo stesso che aveva sputato fuoco dalla sua Strato col riff iniziale di Speed King, lasciava ora la sua creatura, per plasmarne un'altra che avrà eguale importanza nella storia del rock duro: i Rainbow.

Dopo l'uscita di "Stormbringer" nel 1974, le tensioni all'interno della band si facevano sempre più incontrollabili: da una parte Blackmore e Lord, che volevano continuare a battere la strada tracciata da loro stessi e dagli Zeppelin a cavallo tra il '69 e il '70, dall'altra il duo Coverdale-Hughes che premeva per innesti funky-soul sempre più preminenti. Il risultato di quelle furiose discussioni, lo conosciamo tutti: Blackmore lasciò, per dare libero sfogo alla sua natura di chitarrista neo-classico.

Al suo posto viene reclutato il virtuoso Tommy Bolin, che negli anni precedenti aveva già inciso un album fondamentale per il jazz-rock, Spectrum con Billy Cobham. Il chitarrista statunitense, era forse l'unico nel panorama musicale di allora, in grado di sostituire degnamente il Man In Black. E così fu.

Nonostante il non eccezionale successo commerciale, ancora oggi "Come Taste The Band" è considerato tra gli album di maggior spessore dai fan dei Purple, per quella sua viscerale capacità di amalgamare sapientemente funky e soul, ancora più che in "Stormbringer", sopra una forte matrice puramente hard rock. Chi temeva che con la dipartita di Blackmore, il sound si sarebbe ulteriormente spostato verso il funky, rimarrà piacevolmente sorpreso; la Mark IV è composta da musicisti di grandissimo livello, che rappresentano i Deep Purple a tutti gli effetti. Non è possibile rinunciare a godersi un album di tale livello, solo per la mancanza dei pur leggendari Gillan, Blackmore e Glover. I Deep Purple sono anche questo.

Si parte, come succede anche con "Stormbringer", con una traccia dal forte sapore hard rock: "Comin' Home". E' un hard-rock solare, di forte impatto, dal sapore funky, grazie all'uso di ritmi veloci e cori. La voce di Coverdale, solitamente sanguinante per il blues, ben si adegua, per poi lasciare spazio alla prima impennata della chitarra di Bolin, che nel finale ci da un assaggio di ciò che è in grado di fare. La successiva "Lady Luck", non troppo dissimile, si caratterizza per ritmi più sincopati e un ritornello che farà la felicità delle classifiche. Notevole il ricamo di Bolin, che sembra "tappare" tutti i buchi ritmici con le note che spara, per lasciarsi andare a sempre entusiasmanti mini-solo. Coverdale sempre ineccepibile e Paice adeguato, sembra controllare senza eccessivo dispendio. Ma veniamo alla traccia numero 3, "Gettin' Tigher", dove Hughes per la prima volta apre la scena. La voce di Glenn, profondamente diversa da quella di Coverdale, arriva fino agli alti strati dell'atmosfera, è isterica, ma al tempo stesso controllata, sembra voler esplodere da un momento all'altro. Qui Lord, Paice, Bolin fanno un lavoro superbo nell'accomodarlo nell'esecuzione. Tra uno stacco e una divagazione funky, a metà canzone la scena è nuovamente tutta per Tommy Bolin, che si getta in uno sperticato solo, fatto di note sparate a velocità oscene e con una pulizia invidiabile anche per un certo Blackmore, allietano per due minuti o poco meno, l'orecchio dell'ascoltatore.

"Dealer", è ancora terra di conquista di Bolin, il riff iniziale di fuoco è preludio a ciò che accadrà di li a poco: tutti gli altri, sono invitati alla festa. Il festeggiato è uno soltanto: già dalle sovraincisioni di chitarra a dir poco perfette, si intuisce che il chitarrista è ispirato e in forma. Giusto un'altra eccellente performance di Coverdale, che lascia prima spazio ad Hughes che quasi sembra voler annunciare candidamente l'entrata di Bolin, ma ecco che un ultimo sussulto di Coverdale rompe la scena e spalanca le porte al nuovo chitarrista dei Deep Purple. Veramente eccezionale il solo di Tommy, concentrato di ispirazione e tecnica, e nessuno rimpiange Blackmore. Nuove perfette sovraincisioni di chitarra sul finale, con Paice che piazza alcune rullate degne di lui e Lord leggermente in disparte (effettivamente è così sull'intero album. Il tastierista si limita ad accompagnare). Traccia numero 5, "I Need Love", necessaria la semi-ballad (anche se in questo album dati i ritmi serrati imposti da Bolin, non ci sono vere e proprie ballad), su una base funky, Bolin ricama di nuovo tra riff e sprezzanti grida di chitarra che prima si accendono e poi si spengono, chiamate di Coverdale e risposte di Paice. Sembra un album disegnato su misura per Tommy Bolin, che nel finale di nuovo incanta, stavolta con una delicatezza senza pari nell'accarezzare le corde della sua chitarra. Glenn Hughes è un gran bassista, ma la sua voce è ancor più importante per quest'album e la storia della Mark IV. Lo dimostra nel finale, quando la sua voce fa da sfondo alle ultime scorrerie devastanti di Bolin. Con "Drifter" il copione non cambia. Gran riff d'apertura che si protrae per praticamente tutta la traccia, continue sovraincisioni, echi di saette, Coverdale ficcante come non mai e un ritornello nuovamente di forte richiamo, con l'uso finalmente delle due voci. Manco a farlo apposta, nella parte centrale nuovo solo da pelle d'oca di Bolin, e breve rallentamento del ritmo, cadenzato da Paice, dalla voce di Hughes e da Bolin, che qui ricorda incredibilmente Blackmore. Poi il tutto si infiamma di nuovo nel finale, con Paice che picchia duro e gli altri lo seguono a ruota.
 
Siamo alla traccia numero 7, "Love Child", aperta tanto per cambiare da un riff portentoso di Bolin, che indica la strada a Coverdale che cammina sul tappeto di note scandito dal basso di Hughes e dalle pelli di Paice. Ritmo che avanza quasi incalzante, ottima prova di tutto il gruppo. Finalmente Lord ci concede un mini solo di synth, a ricordarci chi sia l'unica vecchia anima dei Purple rimasta. La traccia numero 8 "This Time Around/Owned to"G", molto sperimentale, è una delle migliori track dell'album oltre ad essere la più lunga. Nella prima parte, in un'aura quasi incantata, Hughes canta agli angeli, accompagnato dal piano di Lord e dal suo stesso basso. Il cantato di Hughes si fa via via più nervoso, fino ad introdurre un repentino cambio di rotta dalla canzone: Paice introduce nuove saettate di Bolin, che per i restanti tre minuti ci delizia con la sua tecnica sopraffina, ma mai fine a se stessa, votata al pieno "pugno nello stomaco", marchio di fabbrica del vero hard rock. Siamo al gran finale, forse la traccia migliore in assoluto, "You Keep On Moving". Paice fa scivolare le bacchette sui piatti, Hughes inizia a farsi sentire, questa è la sua canzone. Paice stravolge i ritmi e Bolin vuole essere della partita, con riff incalzanti e immancabili sferzate. Anche Lord non manca al ballo conclusivo e nel bel mezzo della canzone, ci concede un suo notevole e purtroppo unico solo dell'album, ma che ripaga dell'attesa. Non poteva mancare Coverdale che si inserisce con la sua voce sempre potente, quasi furiosa, da perfetto amante deluso, innamorato del solo blues. Nel finale le due voci si uniscono in un meraviglioso unisono, tutti gli strumenti sono tirati a lucido e Bolin svetta imperioso per un'ultima toccata, prima di lanciarsi nella clamorosa fuga finale.

E' la firma che mancava, ad un lavoro confezionato coi fiocchi, quasi uno sfregio verso Blackmore, quasi a voler affermare "abbiamo trovato un grande sostituto e possiamo disegnare un intero album su misura per lui". E che album signori. Basta aprire il package, per ritrovarsi d'innanzi ad un tocco di classe da "giù il cappello": il bicchiere prima completamente pieno in copertina, di buon vino rosso sul quale si stagliavano i volti sorridenti del nostro quintetto, risulta ora sul booklet completamente vuoto, con le sole tracce di rossetto sul bordo, ad indicare che quelle temute labbra, sono giunte infine a bere anche il carrozzone che sembrava inarrestabile. I grandi gruppi, capiscono prima d'ogni pseudo critico o fan della domenica, quando un'era è ormai al termine.

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