Premettendo che d'ora in poi non darò mai più il voto ai dischi nelle mie recensioni (rischierei di non essere molto obiettivo, di dare giudizi affrettati che con il tempo potrebbero cambiare e altri vari motivi...) mi accingo anch'io a recensire l'ultima fatica dei tanto chiacchierati Dream Theater, la prima senza lo storico batterista Mike Portnoy, che ha lasciato la band nel settembre dello scorso anno, sostituito da Mike Mangini.
Ho usato il termine "chiacchierati" ovviamente in riferimento alle innumerevoli e, dal mio canto, insopportabili critiche che la band riceve puntualmente dai tempi di "Train Of Thought". Personalmente la cosa che più mi ha colpito all'uscita dell'album è, oltre che l'album stesso, il fatto che esso abbia ricevuto soprattutto riscontri positivi, anche da quei fans che da un paio di album a questa parte non facevano altro che sparare loro addosso. Le cose sono due: o è semplicemente passata la moda di criticare i DT (e lo sappiamo benissimo che prima o poi le mode passano) o effettivamente la band è tornata a suonare con un approccio in grado di mettere d'accordo i propri fan storici. Diciamo che mentre la prima ipotesi è più discutibile la seconda è invece ben più credibile. Perché effettivamente se ascoltiamo attentamente l'album e lo confrontiamo con i precedenti si può veramente dire che i DT sono tornati all'approccio che più piace ai fan.
E in base a cosa possiamo dire tutto questo? Con quale criterio possiamo affermare che i DT sono tornati a fare un disco degno del loro nome? Da una mia personale analisi risulterebbe che in questo disco vengano rimosse quelle troppe forzature tecniche, metalliche e/o commerciali che caratterizzavano i 4 lavori precedenti e che non piacevano più di tanto a parecchia gente. Quando uscì il pesante "Train Of Thought" in molti accusarono i Dream Theater di aver giocato troppo a fare i metallari quando invece il metal dovrebbe costituire soltanto una fetta del sound dreamtheateriano, nonché all'eccessiva velocità degli assoli. Il più melodico "Octavarium" invece finì nel mirino per le sue troppe palesi scopiazzature nei confronti di vari gruppi di ieri e di oggi e per le sue strutture a volte troppo elementari proposte da un gruppo noto invece proprio per la propria ricchezza compositiva. Anche "Systematic Chaos" ricevette critiche perché suonava troppo poco Dream Theater grazie a brani troppo commerciali come "Forsaken" e "Prophets Of War" e a forzature metallare come "Constant Motion" e "The Dark Eternal Night". Con "Black Clouds And Silver Linings" invece il riscontro era stato già più positivo, frutto probabilmente di un ritorno a strutture in più chiaro stile prog-metal con meno brani commerciali, ma vi era ancora qualche assolone di troppo e qualche tentazione troppo thrash dimostrata da brani come "A Nightmare To Remember" e "The Shattered Fortress".
E qua cosa succede? Semplice! Si ritorna, per la gioia di molti, ad un maggior equilibrio fra gli elementi, quell'equilibrio che si rivelò un autentico punto di forza di album come "Images And Words" e "Scenes From A Memory". Tutti gli elementi tipici del Dream Theater sound trovano, nelle varie canzoni, il giusto spazio senza che nessuno di essi voglia prevalere sugli altri. La componente metal è sempre presente ma in maniera moderata, senza mai soffocare la melodia, vero punto di forza del disco; se sembra voler dominare all'inizio, come accade in "Bridges In The Sky", viene ridimensionata subito. La tecnica qui dà davvero l'impressione di non essere fine a sé stessa: John Petrucci evita di sparare assoloni eccessivamente lunghi e iperveloci e forzati, stessa cosa per Jordan Rudess (l'unico caso è quello di "Lost Not Forgotten", dove uno risponde all'altro in maniera eccellente); la tecnica torna quindi ad essere a servizio della fantasia e la prova di Rudess alle tastiere è la migliore da diversi anni: era da diverso tempo che il maghetto non mostrava appieno tutta la propria fantasia; qua sembra veramente di sentire il Rudess di "Scenes From A Memory"; quei suoni fantasiosi era da anni che non trovavano così tanto spazio, probabilmente perché sacrificati in favore degli assoloni; Petrucci e Rudess qui possono davvero dilettarsi in dialoghi degni di nota. Ultimo punto, non compaiono troppe canzoni al limite del commerciale; l'unico episodio più leggero e pertanto un po' criticato è "Build Me Up, Break Me Down", dove i riffoni metal si alternano con un Rudess in un'inusuale veste elettronica e con un buon ritornello melodico.
Per il resto l'album ricalca fortemente l'approccio che i DT avevano nei gloriosi anni '90. Se ci facciamo caso possiamo notare come buona parte delle canzoni riprendano in maniera abbastanza evidente le strutture di alcuni brani di "Images And Words": "On The Back Of Angels" può essere considerata ad esempio una nuova "Pull Me Under" e quindi con un andamento regolare senza troppi tecnicismi ma piena comunque di spunti interessanti (soprattutto da parte di Rudess); "Lost Not Forgotten" invece ha un'andatura quasi del tutto simile a "Under A Glass Moon" mentre che dire di "Outcry": se avesse magari un pizzico di teatralità in più potrebbe tranquillamente essere considerata una nuova "Metropolis"! Come accadde infatti nel pezzo simbolo del 1992 i primi minuti sono relativamente semplici e melodici ma danno spazio ad una lunga parte strumentale dove la fantasia e la schizofrenia vanno davvero alle stelle, con Petrucci e Rudess davvero supremi. Ma per molti il pezzo da 90 è "Breaking All Illusion", per molti una nuova "Learning To Live", magari un po' meno originale di quest'ultima, va beh, ma comunque varia nelle melodie; qui va citato assolutamente l'assolo centrale, che con il suo approccio quasi blueseggiante potrebbe ricordare da vicino quello di "Lines In The Sand". Discorso diverso merita invece "Bridges In The Sky": si potevano evitare i rutti iniziali, interessante l'apertura gregoriana, nonché i suoni stile organo che Rudess a tratti propone; un brano che parte con presupposti molto metal oriented ma il ritornello molto melodico e la non troppo lunga sezione strumentale sembrano evitare che l'approccio diventi troppo in stile ToT.
E non è dovere meno importante parlare delle tre splendide ballads che il disco ci regala; non succedeva da più di 10 anni che un disco dei Dream Theater contenesse addirittura tre lenti. E devo dire che sono tutti e tre molto belli. In "This Is The Life" Petrucci mostra il suo lato più emozionale, "Far From Heaven" è uno splendido brano piano e voce, in grado di toccare veramente il cuore dell'ascoltatore; poi c'è la mia preferita, "Beneath The Surface" che propone un'ottima combinazione fra chitarra acustica e arrangiamenti orchestrali ed è davvero splendido l'assolo elettronico di Jordan Rudess, che molto probabilmente cita quello di "Lucky Man" di Emerson, Lake & Palmer.
Nel complesso potrei definire l'album come un perfetto punto di incontro tra vecchi, intermedi e recenti Dream Theater: i suoni di uno "Scenes From A Memory" le strutture di "Images And Words" ma anche alcuni elementi più moderni, tipici degli ultimi DT.
Forse potremmo definire l'album un po' troppo autocitazionista e potremmo dire che non propone nulla di nuovo ma non si può negare che suoni molto Dream Theater, molto più dei suoi predecessori più recenti (e lo dice uno che ama anche quei DT). Per me si può considerare uno dei migliori e più rappresentativi assieme ad alcuni loro album degli anni '90 e so bene ciò che dico.
Devo dire che l'assenza di Portnoy ha giovato molto alla band: se n'è andato colui che negli ultimi tempi voleva portare la band su quei territori poco graditi sia ai fan che agli altri membri del gruppo che lo ritenevano il principale responsabile della poca libertà compositiva all'interno della band. Mike Mangini è un sostituto assolutamente degno di nota che nell'album svolge un lavoro forse ancora abbastanza ordinario, poiché le parti di batteria erano già scritte quando c'era ancora Portnoy, ma comunque ben svolto e penso che nei dischi successivi può essere anche lui un ottimo ispiratore che potrebbe anche portare idee nuove alla band. Senza infamia né lode la prestazione di Myung, forse un po' anonimo. Ho sentito invece critiche su James LaBrie che non mi sono piaciute più di tanto; non sarà uno dei miei preferiti in assoluto ma in questo disco la sua prestazione vocale è tranquillamente valida e soprattutto nelle ballate dà davvero il meglio di sé dimostrando di essere tutt'altro che alla frutta.
Sono contento finalmente di vedere i miei amati DT accontentare quasi tutti. Personalmente penso che non meritavano assolutamente le critiche ricevute con i precedenti album, con cui avevano tentato di deviare dal classico DT sound. Ma io sapevo che questo disco aveva le carte in regola per fare il botto.
Devo però anche ammettere che anche a me questo disco ha preso subito mentre con i precedenti ci ho messo un pochino per capire bene quali fossero l'approccio e le intenzioni del gruppo prima di apprezzarli appieno.
In ogni caso la mia testa ora è lì al Forum di Assago il 21 febbraio: sarò carichissimo!!!
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