Prefazione:

Gli assidui frequentatori DeBaseriani si staranno chiedendo, più o meno garbatamente: "ma c'era davvero bisogno di un altra recensione sui Dream Theater?". Troverete la risposta alla fine.

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Ho da poco finito di ascoltare con le cuffie "Misunderstood", mi sono lavato i denti e infilato dentro il letto sotto il soffice piumino assopendomi piano piano al ricordo delle note di John Petrucci & Company. Sono supino e sento che il pensiero vola sull'ultimo commento letto su DeBaser mentre le note soliste sempre più si attenuano per far posto a un'eterea nebbiolina che prelude al sonno... "Cazzo!" L'imprecazione e' un tutt'uno con lo spalancare degli occhi verso il soffitto buio. "Ma io non ho mai scritto una recensione sui Dream Theater!!"

E lì la lucidità ritorna di colpo. E insieme alla frustrazione di non potersi buttare giù dal letto e scrivere subito qualcosa perchè domattina la sveglia è alle 6 si aggiunge l'incazzatura di aver perso ormai quella bionda che correva nel bosco seminuda all'incedere del primo sogno della notte. Ma la serenità ritorna dopo poco. Dopo aver deciso che domani scriverò su... già... su quale album?

Uno di quelli che contiene le romantiche e dolcissime "Wait for Sleep", "Anna Lee", "Through Her Eyes", "The Ministry of Lost Soul" o uno di quelli delle muscolose ma melodiche "The Mirror", "Metropolis part 1", "In the Presence of Enemies"? O ancora uno di quelli che contiene le più neo-progressive "Lines in the Sand" con quell'assolo commovente, "Learning to Live" bellissima, o il trittico "Erotomania - Voices - The Silent Man"?  Scrivere su tutto il concept-album "Metropolis part 2" o su quello che contiene la suite pinkfloyddiana-genesissiana-yessoundiana "Octavarium" omaggio ai grandi del passato??

Quelle con assoli di chitarra strepitosi in tecnica e originalità come "Trial of Tears", "Surrounded",  "The Spirit Carries On" o la già citata suite "Octavarium" per uno dei più bei assoli prog di tastiera mai sentiti dal sottoscritto?

Lampo di genio!: un album stupendo, uno dei loro migliori che contiene tutte queste form: "Six Degrees of Inner Turbolence". Sì, deciso, perché questo comprende tutte le sfaccettature del loro stile. Ha una copertina bella bella! Unica pecca il fatto che sia registrato male, il peggiore audio in una produzione quasi sempre superiore alla media di quanto c'è in giro. Non mi chiedete perché questa volta è così, non lo so.

I Dream Theater si amano o si odiano, non ci sono vie di mezzo, quasi come la Juventus.

Ammetto che a volte si siano lasciati andare in album pieni di tecnicismi fini a se stessi (Train of Thought per esempio) ma è vero anche che nella parte apicale della loro parabola artistica hanno regalato alla Storia dei capolavori di prog-metal che hanno poi ispirato molti altri. E anche dopo se la sono cavata, almeno fino alla defezione di Portnoy.  

Veniamo all'Opera: tutti o quasi sanno che è un doppio album e che inizia col crepitìo di una puntina che è uscita dalla traccia di un vinile, un nesso col disco precedente che finiva proprio così. Poi, dopo un inizio riconoscibile tra milioni di dischi fatto di campana basso e chitarra arpeggiata parte in quarta un potente muscoloso "The Glass Prison". Segue "Blind Faith" che è il punto più basso della produzione, leggera orecchiabile e per questo stancante dopo 10 ascolti. Misunderstood è un gran pezzo melodico e precede la migliore, a mio avviso, la corposa "The Great Debate" che, al di là del contenuto che può trovare o meno d'accordo trattando il tema dell'aborto, è una fantasmagorico caleidoscopio di tempi, ritmi, note originale ma con retrogusto classic, il massimo dell'interpretazione progressive in chiave moderna. Al ritmo iniziale di un basso incalzante, trasporta e l'assolo di John Petrucci nel finale tocca i vertici dell'originalità e della qualità tecnica, letteralmente mi fa venire i brividi ogni volta. Lo aspetti, dopo l'assolo di tastiere, e quando arriva è estasi pura. Conclude il primo cd un bellissimo struggente "Disappear", che crea un'atmosfera, impreziosito da quelle note all'inizio e alla fine apparentemente stonate.

La suite al primo ascolto sembra uno scherzo, con quel vorticare di suoni sinfonici e ottocenteschi; poi invece no, si capisce che fanno sul serio, che quella è un giocosa overture che prelude a una suite degna dei Padri fondatori del prog. Una suite che dopo l'attraversare sei splendide camere, ritorna nel finale sul tema iniziale questa volta in chiave rock per poi concludere con un bell'assestato colpo di gong che rimbomba, fluttua nell'aria, passa da sinistra a destra riempie la stanza dove sei sfumando piano fino a zero ma lasciando nell'aria palpabile l'anima di tutta la complessa preziosa composizione.

Può essere che dei DM sia stato scritto già tanto sul nostro DeBaser, che molti diranno in modo più o meno 'garbato': "ecco l'ennesima superflua recensione". Ma io da bravo toscano anticipo rispondendo: m'importanasega, questa volta l'ho fatto sì anche per voi, ma soprattutto per me.

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