Esistono due tipi di fan dei Dream Theater: da una parte quelli di mentalità più aperta e progressista che quindi sono capaci di apprezzare qualsiasi loro uscita, anche i loro album più strani e controversi, i veri fan dei Dream Theater in poche parole; dall'altro lato quelli più tradizionalisti e conservatori che pretendono da loro per forza un album sullo stile di "Images And Words" o di "Awake", altrimenti muovono sul gruppo contestazioni a valanga (ma dove sono finiti i Dream?). Volete un esempio? Quando uscì "Scenes From A Memory", le cui sonorità si rifacevano chiaramente a I&W ecco che l'album fu acclamato da tutti; ma quando uscì il successivo "Six Degrees Of Inner Turbulence", un album volutamente innovativo e ricercato, le strade si divisero: apprezzato dai fan più aperti e criticato dai più tradizionalisti e chiusi.

Questo "Six Degrees Of Inner Turbulence" come già anticipato segna una seria svolta nella musica dei Dream Theater. L'album presenta infatti sonorità più sperimentali e ricercate avvicinandosi alle origini del progressive; senza dubbio l'album più propriamente progressive della loro discografia, suoni così particolari e studiati non si erano mai visti in un album dei Dream. Ma la svolta non avviene solo sotto l'aspetto progressive; sotto quello metal, infatti, l'album segna quasi un abbandono delle influenze del metal più classico in favore di un suono più duro e d'ispirazione nu-metal (non dimentichiamo che il nu-metal in quel periodo influiva parecchio sul rock di quel periodo). Ma comunque lo si può definire a tutti gli effetti un album in stile Dream Theater e non si toglie nulla alla loro tecnica e al loro virtuosismo, che costituiscono sicuramente un marchio di fabbrica.

L'album è il più lungo mai realizzato dalla band: 2 cd per 96 minuti di grande progressive metal; il primo cd contiene le prime 5 canzoni dell'album, il secondo l'intera traccia n° 6, una canzone di 42 minuti (!) che dà tra l'altro il nome all'album e che vista la sua lunghezza e la lunghezza delle altre canzoni non avrebbe mai potuto stare nel primo cd con le altre.

Da notare che con questo disco comincia un ciclo fatto di collegamenti e giochi numerici che coinvolgono gli album della band. Sesto album, 6 tracce e titolo che comprende il numero 6.

La prima traccia, "The Glass Prison", comincia infatti con lo stesso struscio che chiudeva "Finally Free", ultima traccia di "Scenes From A Memory". Si tratta della prima traccia della saga "Alcolisti Anonimi" scritta da Mike Portnoy per raccontare delle sue passate dipendenze da alcool. Canzone di 13 minuti con chiari riferimenti nu-metal: primi 4 minuti di chitarre distorte e ritmo scatenato e un bel riff di Jordan Rudess; seconda parte in chiaro stile Slipknot con chitarre graffianti, urlate potenti di Portnoy e LaBrie e addirittura qualche scratch di vinile all'inizio, tutto da ascoltare in camera vostra mentre buttate per terra i cuscini; Terza parte più tecnica in cui si ammirano i solisti di Petrucci e del solito Rudess e da un pesante riff finale dove Petrucci mostra tutte le sue abilità per rallentare poi nel finale e concludersi con una bottiglia che si spacca. Grande brano.

Le vere sperimentazioni di quest'album cominciano a farsi sentire in "Blind Faith", traccia n° 2: inizio di tipo semi-orchestrale ben propiziato da Rudess, primi minuti caraterizzati da strofe psichedeliche con suoni molto particolari che sfociano in un ritornello aggressivo, poi una grande parte strumentale dove sentiamo prima un grande assolo di Petrucci, poi un bella melodia di piano di Rudess, che spezza il suono delle chitarre per qualche secondo e poi bell riff di tastiere dello stesso e bell'unisono chitarra-tastiera; poi altro ritornello e finale altrettanto psichedelico.

Sperimentazione pura in "Misunderstood": vero e proprio progressive pinkfloydiano nei primi tre minuti e mezzo con Rudess che si mette in evidenza tra melodie elettroniche stile computer e sonorità orchestrali accompagnate dal basso di Myung. Poi attacca Petrucci con le forti chitarre. Gli ultimi minuti son caratterizzati da chitarre distorte, fantasiose melodie di Jordan Rudess e da un lungo e SPLENDIDO feedback di chitarra che vi lascerà a bocca aperta.

Altro grande brano è "The Great Debate" che in tredici minuti vede alternarsi riff elettronici, potenti riff di chitarra e fulminei cambiamenti di tempo; verso i 9 minuti assistiamo all'ennesima parte strumentale con prima un bel solo di Rudess, poi uno splendido solista di Petrucci e poi un'altra bella melodia di Rudess; finale di nuovo sperimentale con protagonisti ancora Rudess e i suoi riff elettronici.

E chiudiamo il primo cd con la ballata di stampo pinkfloydano "Disappear": piano e chitarra acustica (e un po' più di chitarra elettrica nel finale) ma senza escludere lo sperimentalismo.

E passiamo al secondo cd dove ascoltiamo il vero capolavoro di quest'album, la lunga suite di 42 minuti "Six Degrees Of Inner Turbulence"; 8 parti di cui alcune più hard e altre più soft: come fosse un'opera lirica il brano si apre con un'Overture in cui possiamo ammirare soprattutto Rudess che crea da solo una melodia tipicamente classica senza nessun'orchestra, per passare poi ad "About To Crash", caratterizzata da melodie orecchiabili ben suonate da Petrucci e compagni; con "War Inside My Head" il sound si fa più aggressivo fino a diventare estremo in "The Test That Stumped Them All" (assolutamente da mettere in macchina a tutto volume ignorando le ragazze dietro che vi chiederanno di mettere Gigi D'Alessio) dove emerge la tecnica grazie ad ottimi solisti di Rudess e Petrucci; ritmo che poi si calma per entrare in "Goodnight Kiss", la parte più soft del brano, caratterizzata da melodie lievi e toccanti che ricordano i migliori Pooh; finale più ritmato caratterizzato da sonorità molto stile Star Trek e da un grande assolo di Petrucci che ci porta all'episodio più pop, "Solitary Shell" con buona chitarra acustica e belle melodie di Jordan Rudess pr diventare più ritmato e più tecnico nel finale; si arriva poi alla ripresa di "About To Crash" con inizio dal tono molto stile hard-rock classico e successivamente più progressive con rudess protagonista; finale incandescente con "Losing Time" canzone emozionante segnata da chitarre più malinconiche e tastiere più di sottofondo; suite che si conclude con un lungo feedback che svanisce pian piano fino a scomparire del tutto. L'unica cosa che non capisco di questa suite è la ragione che ha portato a dividerla, facendo pensare alla gente di trovarsi di fronte a otto brani separati: le canzoni non si dividono, una canzone deve essere un unico file musicale a sé stante, a mio avviso.

Un album degno dei migliori Dream Theater, quasi alla pari dei vari "Images And Words", "Awake" e "Scenes From A Memory". Se non vi piace e non lo sapete apprezzare dimostrate solo di non essere capaci di ascoltare i dischi e allora... ...andare a lavorare!

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