Ehwaz, la sacra runa che corrisponde alla lettera E, associata al cavallo, al movimento, all’unione, al progresso, all’evoluzione. “Tramite, medium, per mezzo di”, parole che si associano a questa runa attraverso il contatto con la Natura Madre, con la Terra, con le tradizioni, il tutto senza rinunciare ad evolversi, a sperimentare e a misurarsi con il suono, con la musica.

Dopo questa doverosa premessa, che a mio modesto avviso sintetizza il nuovo percorso intrapreso da questo straordinario e storico gruppo scandinavo, inizio subito a dirvi cosa questo nuovo ascolto ha materializzato davanti ai miei occhi. “Storm Son” si apre lentamente, suoni tribali si fanno strada e un urlo, un corno di guerra ed un nitrito (il simbolo animale associato alla runa E) precedono un arpeggio delicato che introduce questo bellissimo pezzo poliedrico di quasi undici minuti, dove cori, voci pulite e armonie folk vengono fuse con gli scream cui il talento di Grutle Kjellson ha abituato gli estimatori degli Enslaved fin dagli esordi. L’album continua con autentiche perle come “The River’s Mouth”, vicina al primordiale Viking-Black e “Sacred Horse”, dove troverete anche il Rock anni ’70 a contaminare un genere assoluto come il Black Metal, che negli anni ha toccato davvero ogni sorta di lido possibile, dimostrando di essere, per il dispiacere di chi sempre e comunque lo disprezza, una forma d’arte totale e totalizzante. Assieme alle influenze di sempre, il geniale strumentista (e una delle colonne portanti del gruppo) Ivar Bjørnson, riesce alchemicamente a inserire idee sviluppate anche nel pregevole progetto parallelo denominato Skuggsjá, con l’impronta che gli Enslaved hanno fin dall’inizio e ad andare ben oltre, esplorando territori classici e addirittura Prog (da lui stesso vengono citati anche i King Crimson e addirittura i Pink Floyd come fonti di ispirazione) con risultati esaltanti direi, anche se non dovremmo rimanere sorpresi dalla maestria e dall’estrema cura che un marchio assolutamente leggendario e quotato come il loro sa ancora regalarci dopo sedici album e una pluriventennale carriera che mai ha deluso le aspettative. Poco altro da aggiungere in verità, rimane davvero solo l’ascolto: cambi di tempo, ritmo, voce, atmosfere che rievocano elettricità e terreno fertile, pioggia, calma e rabbia, forza, meditazione, troverete questo ed altro, in pezzi come “Feathers of Eolh” per citarne un altro, come nella successiva “Hiindsiight”, dove dalla caverna e dal freddo si esce verso il tepore, verso quella luce che, se pur pallida, è e rimane indispensabile e consolatoria per l’animale umano.

In definitiva “E” si rivela una delle migliori proposte (ed una delle più attese in ambito estremo) di questo 2017 che sta volgendo al termine, confermando gli Enslaved come il grandissimo gruppo che è, regalando in quasi cinquanta minuti di magia ed arte, la possibilità di cavalcare il cambiamento, la mutazione, in groppa a Sleipnir, il destriero di Odino, o sulle spalle di ogni altra creatura da voi immaginata.

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