The Road To Decline.

Una delle cose che mi fa più frullare il belìno, a parte i politici italiani che giocano nei quiz televisivi, sono i dischi fatti senza motivo, senza un perché e soprattutto, senza mordente.

Vi sembrerà strano ma questo "The Road To Escondido" è proprio uno di questi e la cosa di per se ha dell'incredibile! Dico questo perché uno si immagina The Big Master JJ Cale, bluesman sopraffino (ormai in naftalina a dir la verità) e vero artigiano del genere che alle prese con The Big Slowhand Clapton, possa dar vita a uno di quegli eventi memorabili fatti di sudore, soul e tanta, tanta e ancora bravura? e invece?
Invece come Di Pietro continua a fare il pagliaccio da Bonolis, allo stesso modo, questi due sfoderano 14 canzoni di "puro mestiere" dove l'unica traccia che manca è quella della Passione Davvero Sentita e la voglia di "interagire" in maniera genuina tra i due.

I due anziani chitarristi si spompinano a vicenda (come ormai è luogo comune tra certi calibri) con le seguenti dichiarazioni (fonte: www. ligachannel. com per i precisini cagacazzi):
JJC: "Io ed Eric ci conosciamo da molto tempo e finalmente siamo riusciti a portare a termine questa esperienza, un primo vero disco insieme. E' un grande musicista ed è stato un piacere lavorare così a stretto contatto con lui".
EC in ginocchio risponde: "E' stata la realizzazione di un sogno, una di quelle cose che potresti annoverare tra le tue ultime ambizioni. Lavorare con l'uomo la cui musica mi ha ispirato più di ogni altra. Non ci sono parole per descrivere cosa rappresenta per me J. J. Cale, musicalmente e personalmente. Senza volerlo imbarazzare di complimenti, mi limito a dire che ci siamo divertiti facendo un grande disco e per quanto mi riguarda, ho già voglia di farne un altro insieme a lui".

Una cosa che sarebbe pur lodevole se, a tanta melassa e miele, corrispondesse un risultato degno della fama che da tempo circonda i due (vogliamo parlare della storica "Cocain" scritta da Cale ma portata al successo da Eric?! No dai, vi prego? l'hanno suonata tutti, ma proprio tutti, almeno una volta in gita scolastica con Don Uorri e Suor Attizza!! NO, MI RIFIUTO? non ne parlo e basta!).

Un disco "fiacco" dicevamo, con atmosfere più country/folk che blues, fitto di passaggi ridondanti e noiosamente prevedibili senza mai (ripeto M A I) un guizzo, un riff, un qualcosa che esca dai quei 4 paletti di strofa-ritornello-strofa, resi qui stucchevoli da delle interpretazioni a dir poco "sterili" e "artefatte" seppur sorrette da una band di ottimi gregari (basti citare Pino Palladino e il compianto Billy Preston nel suo ultimo addio) che nonostante gli sforzi, non riesce a far decollare di un metro da terra questi 2 fossili da Museo delle Cere.
Un progetto gestito da due Vecchie Glorie abili (quello almeno è indiscutibile) a spippettarsi tra loro in una serie di botte & risposte, leziose e carucce ma deboli caricature di due personaggi che, ai tempi d'oro, segnarono un'epoca nel modo di concepire il Blues (allora un bianco che suonava blues dava scandalo!!) e nell'approccio tecnico del "come suonarlo".

Lavoro lezioso, stucchevole e tremendamente costruito, come la pessima copertina del resto, che vorrebbe strizzare l'occhio allo spirito bohemièn degli anni d?oro, raffigurando i due tristi chitarristi spaesati e già di per sé poco convinti, in un paesaggio fintamente-country, come finti sono i vestiti, il camion e perfino il cartello col nome della destinazione scritta col nero Carioca!

Ripeto: un dischetto caruccio ma pieno di banalità e di passaggi scontati quanto le bestemmie di Sgarbi in TV, e tra le due, a mio modesto parere, le più fastidiose e urticanti sono quelle che escono dai solchi di questo lavoretto più senza lodi che senza infamia.

P. S. Comunque lo Sgarbi, intanto, è sempre in tv a fare il giullare e a tirar moccoli per contratto - per giunta stra-pagato - e chiudo parentesi?

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