Ho cercato sul sito recensioni su Fabrizio De André e non ne ho trovate. Forse ho sbagliato a fare la ricerca, nel dubbio ne faccio una io sul concept "Storia di un impiegato", anno 1973.
Si tratta di un disco che risente profondamente del clima politico e culturale degli anni '70: racconta la storia di un impiegato che conduce una serena vita familiare. Quindi, la memoria del '68 francese innesca al suo interno un processo di maturazione politica che lo conduce a rinnegare tutti i valori borghesi in cui ha creduto nei suoi primi trent'anni. La presa di coscienza è definitiva, ma anche dolorosa: la sua stessa ribellione è "prevista" sistema, di cui egli è un elemento funzionale, come tutti gli altri, come "i soci vitalizi del potere" oggetto della sua protesta.
Disilluso, diventa "bombarolo", finisce in carcere, ma consapevole che il potere buono è nient'altro che un'utopia "da coglioni" (testuale).

Inciso con la collaborazione di un giovane Nicola Piovani, è un album acido, si sente l'atmosfera cupa che contraddistinse i Settanta, i toni sono assai diversi dalle sommesse utopie della "Buona Novella" di poco precedente, ancora influenzata dalle speranze diffusesi negli ultimi anni Sessanta.
La musica spazia dalla ballata folk ("Canzone del Maggio", "Il ballo mascherato", "Il bombarolo"), al quasi progressive dell' "Ora di libertà", somma celebrazione dell'anarchismo di De André. Vertice compositivo dell'opera la confessione pianistica "Verranno a chiederti del nostro amore", con cui l'anarchico, ormai in carcere, inscena un dialogo con la moglie e le prefigura il ritorno ad una vita borghese, quella stessa da lui rifiutata.

Un album irrinunciabile: i tempi sono cambiati, ma alcune riflessioni, opportunamente attualizzate e contestualizzate, non possono lasciare indifferenti.

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