Premessa importante: mai giudicare un disco dalla copertina! Anche perché quella di questo disco è davvero aberrante, ci sarebbe da fustigare chi ha realizzato l'artwork!

Io nel 2005 ero un adolescente impacciato che si approcciava alla musica passando per ascolti piuttosto variegati.
Nella mia piccola città, nella mia piccola cameretta, il mio possente lettore mangiava avidamente CD Audio masterizzati con tracce di 883, Manowar, Goo Goo Dolls, Eiffeil 65, qualcosa dei Nirvana e degli Oasis, il tutto selezionato comunque in modo molto superficiale: ascoltavo tutto quello che mio fratello mi aveva passato sul suo gigantesco super-hard-disk da 32 GB, un colosso di capienza digitale per i tempi.
Nel frattempo, a diverse centinaia di kilometri di distanza, a Roma un cantautore dal passato travagliato pubblicava il suo secondo album.

Ognuno ha quel che si merita di Fabrizio Moro è un album che porta con sé sonorità a tratti dure e aspre e a tratti piene di dolcezza, di quella dolcezza ricordata e sognata più che vissuta.
I 10 brani hanno un classico taglio cantautorale italiano, parlano spesso di amore e di amori finiti, ma per la prima volta si sente il carattere dell'artista destinato a vincere Sanremo nella sezione GIovani un paio d'anni dopo: è il secondo album, ma suona come se fosse il primo.
Fabrizio Moro, pubblicato nel 2000, aveva infatti riscosso poco successo nonostante la partecipazione del cantautore alla 50^ edizione del Festival di Sanremo. Fu un disco che risentiva pesantemente dell'uso di sostanze fatto dal cantautore in quel periodo e di una produzione artistica che richiamava in modo troppo marcato le sonorità di Vasco e di Grignani. Il disco conteneva comunque alcuni brani dalle liriche personali e decisamente interessanti, se rapportate alla futura produzione.

Fabrizio Moro fu a lungo rinnegato dal cantante di San Basilio, che con Ognuno ha quel che si merita ha cercato cinque anni dopo un nuovo inizio.
Il sound del disco, l'immagine trasmessa dall'artista e la positività, seppur sofferta, dei testi ci mostrano un Fabrizio decisamente cambiato, che ha superato un periodo decisamente buio della propria vita e che ha iniziato a fare i conti con le proprie debolezze e la propria storia, combattendo con le unghie e con i denti.

Il disco si apre con Eppure pretendevi di essere chiamata amore, già pubblicato come singolo nel 2004, pezzo d'amore nostalgico pieno però di una carica ritrovata e di una rabbia finalmente espressa e non più repressa come si percepiva nel primo disco.
Banale spiegazione è un crescendo di intensità, in cui Moro cita due sue passioni (il calcio e il cinema) e in cui dà dimostrazione dell'ampiezza della sua estensione vocale, toccando in questo brano la nota più alta mai raggiunta in una sua registrazione(!).
La title track ha una melodia malinconica ed un testo "ad elenco", caratteristica comune di altri brani futuri di Moro e di diversi brani famosi di altri artisti romani come Venditti e Niccolò Fabi; parla delle convinzioni dell'autore, citando sogni, speranze e insegnamenti della nonna.
Ci vuole un business è un pezzo discotecaro anni '70 alla Renato Zero, utilizzato in precedenza anche in una campagna promozionale della Croce Rossa Italiana (col titolo e ritornello cambiati in Non basta solo il business).
Lisa è un pezzo che parla di una delusione d'amore con una ragazza manipolatrice e definita dal cantante come superficiale (poichè guardava "sempre Amici di Maria", ironia della sorte).
Non essere arrabbiata è un altro pezzo d'amore, in cui l'autore stavolta parla dei propri difetti e delle difficoltà ad amare, legate anche ai propri trascorsi.
In Everybody tornano la canzone "ad elenco" e il ritmo discotecaro, questa volta più anni '80 e funky, in cui il cantante esprime disappunto per le contraddizioni e la corruzione nella "democrazia" italiana.
L'indiano è un pezzo su un (presunto) tradimento subìto da Moro, un brano che sa ben trasmettere l'idea della rabbia provata dall'artista, grazie ad un cinismo che richiama Colpa d'Alfredo, che fu resa famosa anche dal modo indelicato e politicamente scorretto in cui Vasco apostrofava gli altri protagonisti della vicenda ("...è andata a casa con il negro la troia...").
La chiusura dell'album (nella sua versione fisica) è affidata a Come..., canzone nella quale Moro chiede perdono alla propria donna, alternando parti parlate a parti melodiche cantate e "ad elenco" (come farà nel 2008 con il brano Eppure mi hai cambiato la vita, brano proposto con poca fortuna all'edizione della kermesse sanremese di quell'anno). Questo pezzo sarà uno dei pezzi di apertura dei suoi tour successivi, grazie ad un lungo intro di chitarra arpeggiata.
Una menzione merita anche la versione embrionale del brano Non importa, bonus track della versione iTunes del disco; il pezzo, anch'esso "ad elenco", sarà contenuto in una versione riarrangiata nell'album Domani del 2008, perdendo tutta la carica di rabbia che è trasversale a tutto l'album del 2005.

In generale trovo particolarmente interessante l'utilizzo che Moro fa delle canzoni "ad elenco" per i temi sociali, mentre per temi sentimentali preferisce spesso una forma più poetica e classica di canzone: anche Come..., brano d'amore, utilizza nelle sue parti "ad elenco" riferimenti alla cultura popolare.
La forma "ad elenco" ha aiutato diversi pezzi di Moro a diventare tormentoni, come la più famosa Pensa, portata a Sanremo nel 2007 con ottimi risultati.

Nel 2005 Fabrizio Moro era un altro artista rispetto a quello che è ora: era emergente, era incazzato ed era in cerca di un successo che, dopo quasi 15 anni, è riuscito a trovare, seppure parzialmente rinnegando certi suoi "modi di porsi" del passato, in primis i riferimenti ad Amici di Maria De Filippi.
Moro è uno di quegli artisti che ha saputo mantenere costante l'impegno messo nella propria produzione musicale, al di là di strategie promozionali fatte anche di passaggi televisivi in trasmissioni di bassissimo livello, e nonostante ora abbia sempre ambito ad essere un artista "pop", ha saputo creare un proprio stile ed una propria identità e, con tutte le dovute proporzioni, non mi dispiace paragonare il suo percorso discografico a quello di giganti come Bruce Springsteen. Certo, gli manca ancora molta strada, ma in un paese chiuso su sé stesso come l'Italia i suoi sono risultati impressionanti.

Nel 2005 Moro aveva 30 anni mentre io ne avevo 14. A 16 ho iniziato a suonare la chitarra e a 18 l'ho iniziato a conoscere.
Da allora molto sono cambiati i miei gusti musicali, ho perfino smesso di ascoltarlo e da lontano lo seguivo a malapena mentre accettava un ruolo nella trasmissione Amici, decisione che gli ha poi fruttato una certa notorietà e che gli ha permesso di tornare alla ribalta vincendo un Festival di Sanremo con Ermal Meta, questa volta nella categoria Big.
Dal 2005 ho imparato molto del mondo musicale, ho saputo sviluppare un senso critico e analitico e ho iniziato a scrivere recensioni su Debaser per poter sfogare la mia vena pseudogiornalistica. Adesso sono sposato, ho un lavoro, comprendo bene tante cose che Moro cantava in questo disco ed alcune le ho già superate, altre le sto affrontando ora.
Sia io che Moro siamo cambiati molto, ma reputo ancora Ognuno ha quel che si merita uno dei suoi lavori più genuini e quindi un diso da non perdere.

Sono convinto che per ora Fabrizio Moro ha avuto "quel che si merita". Domani saprà meritarselo ancora?

Carico i commenti... con calma