La homepage di DeBaser sa essere deliziosa. Puoi trovarci il DeSample casuale che ti cambia la vita, l'editoriale che illumina una giornata, la recensione di quel disco che avevi dimenticato di amare. E' un luogo da cui partono storie.

E' lì, ad esempio, alla sezione "De-gigs", che apprendo che domani a pochi passi da casa mia suonano i Faust (punto esclamativo). Rapidissimo giro di telefonate per convocare qualche adepto, e organizzarsi per la prevendita. Siamo in tre: oltre a me, un amico e la mia ex. Triangolo scaleno faustiano, si chiama.

Orbene, sono nervoso q.b., mi preparo all'evento sparandomi in poche ore tutti i loro dischi in mio possesso, (non so se mi spiego), e rileggo una deliziosa intervista a Juan Hervè Peron che consiglio a tutti voi come il miele sulle fragole. Racconta di sei figuri che, alla fine degli anni '60, animati dalla scintilla del genio e dal demone di Stockhausen occupano un edificio nella brumosa Wumme, Germania del Nord, il luogo più anonimo del pianeta. A quegli anni risale la monumentale tetralogia d'esordio del collettivo musicale che ha sublimato il Krautrock. Un turbine di pensieri mi inonda il cervello, a momenti mi sento un uomo fortunato: domani mi vedo i Faust. Salto nel passato o nel futuro?

Mi informo un po': a Napoli ci saranno il suddetto Peron e "Zappi" Diermeier. Un terzo dei Faust. Con loro, Amaury Cambuzat degli Ulan Bator. La domanda è lecita: quanto mi restituiranno dell'anima di una delle musiche più geniali e apocalittiche che il pianeta abbia mai udito? Una cosa la so però: Rudolf Sosna se n'è andato una decina d'anni fa, e ciò esclude quelle frequenze tragico-brechtiane che tanto mi sconvolgono, so anche che questo è uno dei due ensemble a nome Faust derivanti dalla dissoluzione del gruppo stesso. Insomma, so di non sapere.

Giungo fuori alla Galleria Toledo con un livello di eccitazione medio-alto, cazzo, due minuti e ci ho davanti il mito. Quelli là fuori sembrano tutti pensarla come me, d'altra parte pochi di quei tredicieuropaganti erano nati ai tempi di "Miss Fortune". Inevitabilmente ciò accresce l'interesse collettivo. Per un attimo sembriamo una colonia di leoni marini, ma forse è solo l'atmosfera lsd che si sta diffondendo. Dal canto mio, celebro l'attesa con una Ceres tiepida + ultima sigaretta, incontro la mia ex che a stento mi guarda negli occhi e il mio amico che ho convinto a venire con la formula del soddisfatto o rimborsato. L'ultima cosa che penso prima di entrare è che di lì a poco mi ringrazierà.

E'un piccolo teatro, piano superiore, al centro della fila, delle casse, del mondo. Qualche minuto per studiare il palco: in mezzo, una specie di batteria ingabbiata da tubi, piena di strani oggetti da percuotere (eccola). Sparsi qua e là, bassi, chitarre, un enorme arnese pieno di fili e pulsanti, un bidone verde, microfoni, una motosega, un asse da stiro, tubi di varia natura, un telo bianco da proiezione. Lo sconcerto si dipinge sui volti dei due miei ignari compagni, al punto che lei mi rivolge la parola, l'amico già ride. Voce dalle retrovie: "Abbiamo fatto bene a fumarci quella canna...".

E' giunta l'ora, eccoli qua. Zappi è un gigante, pelato, simpatico, schizoide, camicione rosso e pantaloni al polpaccio. Quella specie di batteria è il suo trono, lui ci sale ed è un vero spettacolo. Peron dal canto suo è scalzo, t-shirt psichedelica e lunghi capelli, occhialino rotondo. Il 55enne della porta accanto. Amaury ha già imbracciato la chitarra, sembra allegro. C'è nell'aria l'odore acidulo della leggenda. Difficile raccontare le due ore successive. Peròn è invasato. Suona da dio tutto ciò che gli capita a tiro: bassi, bidoni, saldatori, chitarre, fiati, la sua stessa voce, trapani, tamburelli, e di certo ne dimentico. Altrimenti, intesse lunghi monologhi in lingua francese, legge formule matematiche, offende Amaury, cazzeggia col pubblico. A un tratto convoca a sé una tipa dal pubblico, apre l'asse e comincia a stirarle la maglietta. "Nothing is serious about music. THIS is serious", così dice Juan Hervè. Zappi è un buddha lì al centro, a picchiare come un dannato dall'inizio alla fine, a trapanare lastre di metallo. Un gran bel vedere, e sentire. Sullo schermo dietro scorrono sbiadite immagini dei Faust trent'anni fa. E' uguale ad allora, Zappi.

C'è "Krautrock", c'è "The Sad Skinhead" e altro materiale da Faust IV, c'è "Jennifer", ci sono pezzi dai lavori più recenti e da quelli venturi. Brandelli di Faust I, escursioni mantriche, deliri d'improvvisazione. Un carrozzone dadaista, suoni cosmici e stralunati, eppure terribilmente concreti. Noi siamo tutti a bocca aperta, come bimbi al circo. Attimi di panico invece in prima fila, dove ci sono da schivare le scintille che il trapano produce sul bidone, e i pesantissimi tubi di metallo (sic) che Zappi e l'insospettabile Cambuzet lanciano dal palco (sic). Per non dire di Juan Hervè che, in pieno "flower power", trotterella spensierato mentre brandisce una motosega. La parola chiave, mi dispiace che sia così cacofonica ma non ce ne sono altre, è sdrammatizzazione. La tragedia, che i Faust esploravano con suole di vento, si dissolve nel nonsense. Ogni gesto di Peron è privo di qualunque "valore", se così posso dire. Non c'è nulla di serio, eppure sì. Al momento non so dire altro.

Dissoltasi l'ovazione di commiato, riesco invece a produrre un pensiero assai lucido: non voglio tornare là fuori. Tra gente comune e vita reale. Che poi quanto è reale una vita dove ogni cosa si porta dietro il peso di una definizione, e la melma sembra precludere qualunque fuga all'intelletto ansioso di deviazione? Avrei raggiunto dopo pochi istanti il nirvana, se la mia ex non mi avesse richiamato all'ordine, ricordandomi che a momenti chiudevano il teatro. Che donna assennata! Il copione in questo caso è ineludibile, e ahimè, là fuori ci tornai, immediatamente assalito dalla nostalgia della beata incoscienza faustiana. Mi salvò un mercante di rhum, che mi condusse tra nebbie dolciastre. Era il momento per il nostro triangolo di tirare le somme: giudizio unanime fu che ci eravamo divertiti come gli sciacalli dopo la carneficina del "Mucchio selvaggio", ma c'era qualcosa in più, che nessuno di noi riusciva a raccontare, né tantomeno riesco a farlo io adesso.

A distanza di qualche settimana mi vengono in mente le ultime parole di Faust I: "Nobody knows / if it really happened."

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