Federico Fellini era cinema anche solo a sentirlo parlare: la sua voce era sempre ispirata, quasi descrivesse a viva voce le immagini che in quel momento gli passavano per la testa. In nessuno come in lui il cinema è stato un'esigenza irresistibile, un'impegno artistico continuo, qualcosa di esclusivamente personale e lirico così come una poesia lo è per il poeta. I produttori americani avrebbero fatto ponti d'oro purchè avesse girato un film negli Stati Uniti ed è sempre stato pronto un budget illimitato se avesse accettato di dirigere un film tratto dalla Divina Commedia. E invece Fellini preferì sempre fare di testa sua, in tutti i sensi.
Grottesco, visionario, barocco, onirico etc etc sono definizioni che stanno strette al regista riminese (se penso che oggi Tim Burton viene considerato il grande talento visionario di Hollywood… ). Fellini è stato "semplicemente" un uomo di cinema, a tutto tondo, un'animale da set cinematografico tanto da sentirsi a casa solo sul set, da emozionarsi solo se riusciva a ricreare su quel set le immagini che aveva in mente, da preferire al mare vero un mare posticcio, fatto di teli di plastica e manovelle.
'La Dolce Vita' è il film più ricco, più affollato, più disordinatamente affascinante, più intenso, più corale, più vitale, più "più" che io abbia visto. Marcello è uno scrittore mancato che si è dato al giornalismo di bassa lega, quello "gossiparo" e trascorre le sue giornate al ritmo della dolce vita romana degli anni cinquanta. Nel film è circondato da tante donne: la "aggressiva, materna, vischiosa" Yvonne Furneaux, Magali Noèl, ballerina di night club, la miliardaria viziosa Anouk Aimée, Valeria Ciangottini, sincera e angelica, la felliniana-che-più-felliniana-non-si-può Anita Ekberg, e tante altre che si è spupazzate, che lo stuzzicano e che lo fanno loro anche solo per una notte. Marcello è come in balìa di una Roma che sembra una torre di Babele moderna, si muove trascinato da una fiumana di nobili, fotografi, modelle, attorucoli del momento, nani e ballerine, quasi incosciente, drogato, conducendo un'esistenza dove la vita affiora solo in pochi momenti: quando contempla Anita mentre danza nella Fontana di Trevi; quando conosce una quindicenne umbra (Valeria Ciangottini) che lavora come cameriera in una trattoria sul litorale laziale dove si è rifugiato per scrivere; quando incontra Steiner (un'indimenticabile, scolpito nella nostra memoria, Alain Cuny) che gli parla con una voce che ha una pacatezza, una chiarezza, un'atarassia che sembra estranea all'assordante e divertente baraonda del film.
Forse la scena più bella del film è la serata a casa di Steiner, dove Marcello trova un buen retiro in cui spera di ritornare più spesso, ma nella quale Fellini insinua anche il dubbio nello spettatore circa la personalità complessa, nascosta di Steiner: mai nel cinema sono state pronunciate parole tanto nette, pesanti come macigni, che hanno un'eco eterna, come quelle che Steiner dice in confidenza a Marcello quella sera. Non c'è un vero e proprio filo narrativo, c'è solo Marcello e a seguirlo la telecamera che diventa testimone di un umanità abbruttita ( si veda la sequenza del miracolo) dalla quale l'uomo comune, il lavoratore di provincia, abitante di un'Italia ormai "preistorica" (il padre di Marcello, Annibale Ninchi) fugge inorridito dopo esserne stato adescato. Marcello non riuscirà a riscattarsi, anzi verrà spinto sempre più in basso, soffrirà la perdità dell'amico Steiner, suicidatosi, e da equilibrista che era-in bilico fra "la dolce vita" e una vita più autentica, sincera- cadrà (definitivamente?) dalla parte peggiore. Un'ultima ancora di salvataggio esiste, è la giovane cameriera che da lontano, in spiaggia, all'alba di un nuovo giorno, invita uno sfatto Marcello, distrutto da una notte di insensato divertimento, a fare una passeggiata: ormai Marcello è lontano, e il rumore del mare copre le loro voci.
Marcello Mastroianni (forse il più grande attore italiano di cinema), semplicemente immenso, fa il salto di qualità e diventerà d'ora in poi l'alter ego di Fellini.
Film aperto, senza inizio né fine (Fellini odiava questa parola), irrecensibile perchè irriducibile ad un testo, "La dolce vita" è il film con cui Fellini spicca il volo e inaugura un ventennio di capolavori. Si contende con '8 e 1/2' il titolo di capolavoro della filmografia felliniana che in realtà, per coerenza con i pensieri dell'autore, andrebbe considerata un unico, eterno film.
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