Non ci puoi fare niente. Capitano momenti così forti e intensi, nel bene e nel male, che ti danno le botte: gioia, rabbia, piacere, dolore, pugni nello stomaco o carezze sul cuore, immagini, odori e suoni, che si raggrumano in nodi indissolubili così stretti da togliere il respiro e il sonno. Passata la botta poi quei nodi non si sciolgono, solo pian piano un poco si allentano, ma sempre stanno lì, piccole carpe che si muovono lente e pigre sul fondo scuro dell'anima, nascoste nella peristalsi quotidiana, smascherate solo da una nuova piega del sorriso o una nuova ruga della fronte. Ogni tanto arrivano a pigliare una boccata in superficie, e allora visibilmente si distendono le labbra o s'increspa la fronte, ma subito tornano a inabissarsi sul fondo. Può capitare che sia il vento a portarti quell'odore, o un'autoradio in coda quella musica; o può capitare che sia tu a voler mettere quel disco: chissà se ancora li evoca quegli odori e quelle immagini, se ancora il pensiero ti sorride o se ancora e quanto, a metterci un granellino di sale, quella piccola ruga ti possa far male. Ed ecco, la musica non scivola più liscia, ma ci inciampa in quei sorrisi e in quelle rughe, s'impiglia, e lì gira e gira, s'attorciglia, e tu ti attorcigli con essa, cavaturaccioli che stappa la bottiglia del vino aromatico dei ricordi.
Il Principe, che da così tanto mi accompagna, è il mio cavatappi per antonomasia, e questo disco in particolare mi fa questo effetto: "Rimmel" sono i miei 18-20 anni. Un vero gioiello luccicante, pubblicato da De Gregori nel 1975, all'età di soli 24 anni; con "Bufalo Bill", l'album successivo altrettanto splendido, in alcuni episodi anche migliore, consacra De Gregori nel gotha della musica d'autore italiana. "Rimmel" è tante cose. È il ricordo dell'amore che finisce e la necessità di andare avanti, raccontato con immagini personalissime ma allo stesso tempo condivise, comuni, fortemente evocative; è l'abbandonarsi all'amore che nasce, improvvisamente e irrazionalmente, così come spesso nascono le cose; è la politica, Mussolini e il nuovo fascismo con la faccia pulita; è lo sfruttamento e il dramma dell'emigrante con la valigia di cartone, si chiamasse Pablo allora o si chiami Amar o Mohammed oggi. Per me è una moltitudine di piccole carpe che salgono a sfiorare la superficie dell'acqua. Non arrivo neanche al cartomante zingaro ed eccomi al ginnasio a fumare una sigaretta nel bagno delle ragazze al cambio dell'ora; mi guardo il palmo della mano e la linea che gira è un sole disegnato; mi porto in tasca la piccola mela di una promessa notturna alla fermata dell'autobus; i gabbiani legati a un filo e le capriole sul copriletto azzurro, la prima volta che ho visto Alice nuda; Gabriele che dall'alto del Milan sacchiano mi sfotteva per la mia povera Inter, e tutti noi stretti vicini e piccoli per la sua improvvisa mancanza; le prove di dialettica nelle ingenue discussioni su comunismo e fascismo, destra e sinistra; e così tante altre immagini, piccole e grandi.
Canzoni come "Pablo", "Buonanotte Fiorellino", la stessa "Rimmel" sono ormai storici cavalli di battaglia di De Gregori, e convivono con brani meno popolari ma di grande intensità e delicatezza, come "Quattro Cani", ai cui cori partecipa anche Lucio Dalla, "Le Storie di Ieri", canzone esplicitamente politica, e un gradino sopra tutte la magnetica "Pezzi di Vetro", dolcissima poesia d'amore che si srotola sul tappeto rosso di un semplice e delicato arpeggio di chitarra. Chiudono il disco due canzoni minori, "Piccola Mela", quasi una filastrocca popolare, e "Pianobar", ritratto di un certo tipo di musicista fasullo, accondiscendente e opportunista. Ciò che davvero conquista di questo disco è l'altissima qualità poetica dei testi (a me ricorda in alcuni aspetti Hikmet), sempre ermetici ma un po' più intelligibili rispetto ai dischi precedenti; immagini piene di grazia, che meravigliano per la capacità di rappresentare un mondo intero in due versi (quanti significati, sensazioni, sfumature racchiusi in un "Santa voglia di vivere e dolce Venere di rimmel"!). Non stupisce quindi il grande successo anche di vendita del disco, capace di incontrare il favore del vasto pubblico grazie alla combinazione tra testi preziosi mai banali, anche se non sempre semplici e immediati, una musica non più desolante come l'album precedente (l'album "della pecora") ma decisamente più lieve, e la bella voce, per tutto il disco su tonalità piuttosto alte, del Principe poeta. Per non farci mancare nulla, c'è persino qualche leggenda metropolitana su alcuni di questi brani: "Mister Hood" sarebbe dedicata a Pannella; "Pianobar" si ispirerebbe malignamente a Venditti; i "Quattro Cani" sarebbero, in ordine di apparizione, lo stesso De Gregori, ancora Venditti, Patty Pravo e il produttore Lilli Greco.
In estrema sintesi: 5 stelle magna cum laude.
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