E' estate, e ci meritiamo tutti un meritato riposo. Dunque, anche il recensore se ne va in ferie, prima pero' l'ultima recensione. Indeciso su cosa scrivere, mi piaceva dire due parole, o anche di più, su uno dei miei album preferiti di Battiato, "Patriots".
Premesso che il Battiato anni '70, sperimentale e folle, detto nel senso buono, mi piace, quello da "L'era del cinghiale bianco" in poi pero' mi fa impazzire. Il decennio 1979-1989 ci ha portato in dote le sue cose migliori ("La voce del padrone", il suddetto cinghiale bianco, "Patriots", "Mondi lontanissimi" e "Fisiognomica", tutti in rigoroso ordine di mia preferenza). Quello dei '90 e 2000, onestamente, mi annoia un po', sì, compresa "L'imboscata".
Ma "Patriots" è "Patriots", cioè un condensato di synth pop di livello altissimo. Paradossalmente, sono i brani meno famosi ciò che preferisco, e allora la facciata B l'avrò divorata milioni di volte. C'é "Arabian Song" che dice "La mia parte assente si identificava con l'umidità" (eh?):
"L’uomo – come leggiamo nel libro Frammenti di un insegnamento sconosciuto di P.D.Ouspensky – è sempre in stato di identificazione, ciò che cambia è solo l’oggetto della sua identificazione. L’uomo si identifica con un piccolo problema che trova sul suo cammino e dimentica completamente i grandi scopi che si proponeva (…) Si identifica con una emozione, con un rumore, e dimentica gli altri suoi sentimenti più profondi”. (Fabrizio Basciano)
C'é "Frammenti", che sembra un minestrone di citazioni scolastiche, da Pascoli alla "Spigolatrice di Sapri", ma poi spiazza: "Che gran comodità le segretarie che parlano più lingue", e qui si scopre il giochino citazionistico di Battiato, che si rifà a G.I.Gurdjieff, e al suo apparato formatore, filosofo armeno che paragona una parte dell'essere umano all'ufficio di lavoro.
E, finale, "Passaggi a livello", musicalmente vivacissima, che contiene alcune frasi da mandarsi a memoria: "Nelle carrozze letto sposi in luna di miele, facevano l'amore con l'ausilio del motore", o "Giocavano sull'aia bambini e genitori, Calasso li avvertiva dal Corriere della Sera: "Copritevi che fa freddo, mettetevi le galosce" e poi via a citare la qualsiasi, da Galileo ai Beach Boys, da Kurosawa a Odoardo Spadaro.
Ovviamente ci sono poi le canzoni famose. La mitica "Prospettiva Nevski" di qui si è già detto tutto, e che continua ad essere un capolavoro immane, nella musica trattenuta inizialmente e che esplode nel bellissimo finale ("E il mio maestro mi insegnò com'è difficile trovare l'alba dentro l'imbrunire"), anche se il colpo di genio, a livello letterale soprattutto, è il passaggio in cui il protagonista s'incrocia con Igor Stravinskij.
L'album, che oltretutto in origine avrebbe dovuto titolarsi "I telegrafi del martedì grasso", si apre con la solenne "Up patriots to arms", con un parlato in lingua araba, come anche il ritornello di "Arabian song": "Ogni giorno guardiamo le cose insignificanti, guardo tutto e tutto il mondo che vive di speranza, e non vivo..." e si unisce ad un frammento del Tannhauser di Wagner Richard, niente meno. E se la piglia un po' con tutti, dai direttori artistici agli scemi che ballano sulle piste da ballo.
Disco fondamentale, e primo album realmente fortunato a livello commerciale di Battiato, lo rappresenta fino in fondo, in una nuova dimensione che da sperimentale si fa pop, ma mette al bando ogni forma di banalità. Un brano come "Le aquile" (altra perla) vive nelle parole e nei ricordi, come, forse, fino ad allora nessun musicista, perlomeno italiano, aveva saputo dare prova:
"Forse un ricordo d'epoca, una fotografia degli anni '40, le scarpe "ortopediche" allora di moda (con la zeppa, tornate poi con gli "zatteroni" anni '70 e ancora negli anni '90). Una donna, forse la madre giovane, si muove circospetta sulle scarpe alte, la gonna ampia gonfiata dal vento sul lungomare di una città siciliana." (dal sito Musica & Memoria)
Personalmente, solo "Venezia-Istanbul" non mi ha entusiasmato, ma è una mia opinione, ovviamente.
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