"Noi siamo delle lucciole che stanno nelle tenebre..." è solo un verso dell'incipit di questo album, che però mi ha sempre rapita, sin da quando ero in fasce.

Oh no! Un'altra recensione farcita di umori femminei, Dio scansaci!

Va bene, lo ammetto, era solo una trappola, ma non si tratta di un fuori tema arbitrario: perché questo "Patriots" di Battiato è disseminato di trappole, musicali e liriche. Alcune, profondissime, ci sembra di poterle evitare agilmente, solo per poi cascarne in un'altra, perfettamente mimetizzata, avvolta in una melodia puerile (ne ha mai scritte Battiato?), e venirne fuori completamente distaccati dal senso della realtà.

Le prime note che sentiamo in "Patriots" sono di Richard Wagner, il Tännhauser: l'ouverture. Per farla breve (sennò dite che favoleggio), Tännhauser è un trovatore che, sedotto dalla dea Venere, si ritrova nel bel mezzo di un'orgia. Come ogni bravo cantore, il senso di colpa, o forse la penetrazione del dionisiaco, o magari solo i sensi appagati, lo rendono un cristiano in cerca dell'amore sacro tanto che arriva ad affidarsi alla purezza femminile della Madonna per implorare Venere di lasciarlo libero. Battiato è troppo un amante della Classica per poter pensare che questa scelta sia casuale! Non fosse altro poiché sullo spunto wagneriano ci recita dei versi in lingua araba che dicono pressappoco: "Tutti i giorni osserviamo cose insignificanti, tutto il mondo che vive di speranza, e frattanto non viviamo…" e non possiamo trascurare le letture di Gurdjeff e Ouspensky (ce lo dice lui stesso in molte interviste), non possiamo ritenere il tutto una pura divagazione dadaista. "Patriots" è un concept, un inno alle contraddizioni della società occidentale e alla musica che di quella cultura è un'espressione, se volete una contrapposizione fra l'innocenza, l'infanzia, il passato, l'oriente e la corruzione, la decadenza, l'occidente.

"Venezia-Istanbul" parte con un richiamo al fanatismo futurista del giovane D'Annunzio e risulta nostalgica della "passione per gli aeroplani e per le bande legionarie", quel tempo che tutto muta, quel Dio che ha donato agli uomini la dimenticanza della propria innocenza come atto di misericordia perché i ricordi dell'adolescenza feriscono più di pallottole. Dopo un inizio adagio, il brano si velocizza e ci sorprende mentre si susseguono i quadri del mutamento: "Ieri ho visto due uomini che si tenevano abbracciati in un cinemino di periferia e penso a come cambia in fretta la morale", "Un tempo si uccidevano i cristiani e poi questi ultimi con la scusa delle streghe ammazzavano i pagani, Ave Maria"... Quell'Occidente che vede nel benessere capitalista il suo culmine di predominio sul mondo viene infine indicato come causa di dolore e devastazione: dopotutto il boom, la ricostruzione, il Piano Marshall, le Mani Sulla Città non sono altro che una diretta conseguenza dell'orrore, dietro il velo dell'ipocrisia socialista: "E perché il sol dell'avvenire splenda ancora sulla terra facciamo un po' di largo con un'altra guerra."

Dopo l'invettiva politica, il brano "Le Aquile" è impregnato di un lirismo in cui giovinezza e vecchiaia si confondono in una opposizione (qualcuno magari avrebbe goduto con "dicotomia") che diviene abbraccio. La gioventù, l'energia fisica impiegata in palestra si staglia sullo sfondo azzurro di un cielo che è un lontano ricordo di infanzia che non è spensieratezza bensì cavigliere ortopediche che costringono l'aquila a camminare anziché librarsi in volo. Questa lettura è dettata dal testo parzialmente mutuato dalla prosa di Fleur Jaeggy che in un passo de "Le Statue d'Acqua" tratto dal bellissimo "I Beati Anni del Castigo" recita:

KATRIN: Sono passati soltanto cinque minuti da quando vidi una cornacchia stagliarsi tra alberi e cielo – dopo un piccolo volo esaltante camminare monca e rapida verso di me. Avrete visto anche voi camminare le aquile nelle voliere, il loro incedere è come un’agonia maestosa e gli occhi levigati d’odio assentono al congedo. Io non sentivo in quel momento l’inclinazione puritana a fare di un’innocua visione una favola, ma guardando la cornacchia vi era nel suo modo di indugiare, di starsene ferma, una specie di ostinata attesa, come se stesse seguendo un suo pensiero, direi quasi spirituale, come se stesse per dirmi qualcosa, forse di pensare all’acqua – o di seguirla, non sapevo, cercavo di capire guardandola negli occhi, ma gli occhi della cornacchia si volgevano altrove, opponevano al mio sguardo due minuscoli ritagli di velluto. Tentai di toccarla, ma lei si allontanava, senza volare camminava via, tranquillamente. Inseguivo dunque, quasi senza accorgermi, quel groviglio plumbeo e goffo che avanzava con prudenza verso la scogliera. Lassù, le gobbe calcaree declinano verso l’acqua, cerimoniose e letargiche, a quell’ora le rocce sono di un verde malato, proseguono nell’acqua con riflessi paludosi. Pareva che la cornacchia fiutasse le navi da tempo perdute, guatò le stelle e le ombre, senza capire quanto erano lontane. Intanto l’addobbo piumato si sfaldava, le stecche delle ali cominciarono a piegarsi.
Inavvertitamente sfiorai il suo gomito, aveva gomiti come i miei, e la stessa statura. Mi sorrise appena, come se provasse una specie di gioia oscura e cauta nel vedermi simile a lei, nell’aver copiato le mie sembianze.

Battiato ha in alcune circostanze citato quest'opera come contenente "bagliori di Verità", con una maiuscola sottintesa dagli studi sapienziali del Maestro.

L'anno precedente alla pubblicazione di "Patriots" il mondo conobbe il clamore della vendita presso Sotheby's a Londra del diario di Vaslav Nijinsky. "Prospettiva Nevski" si riferisce alla passeggiata di San Pietroburgo e ci offre degli acquerelli provenienti in apparenza da un altro tempo, mentre ci accorgiamo che si ambienta oltre la Cortina di Ferro, un po' più in là rispetto al civilissimo Occidente. L'album "Patriots" è infatti del 1980 in cui la Glasnost era ben lungi dal venire e la contrapposizione fra blocchi era materiale e onnipresente. Questi quadri si succedono con un ritmo e una scelta dei particolari che richiama una palpabile antitesi coi temi della cultura popolare americana e i riferimenti a una vita tutto sommato più vera, sebbene caratterizzata da grandi privazioni. La bellezza è simboleggiata proprio dai balletti russi e dall'amore fra Sergej Pavlovič Djagilev e lo stesso Vaslav Nijinsky che, in preda alla follia, scrisse pagine di delirante ispirazione nel suo diario pubblicato postumo. Il difficile è trovare l'alba dentro l'imbrunire, ci ammonisce il testo, occhieggiando alla vera decadenza che non è nelle "donne curve sui telai" e neppure negli "orinali messi sotto i letti per la notte". L'arrangiamento al pianoforte di questo brano è poi un capolavoro a sé stante e racchiude il romanticismo e l'amore per la bellezza come se si stesse osservando lo sbocciare di un fiore al rallenty.

Segue "Arabian Song" che è arduo interpretare. A partire dal ritornello, rigorosamente in arabo stretto, di cui manca nelle note una traduzione precisa. Sul sito battiatotribute.net, non più raggiungibile, si trovava la seguente traduzione: "Disse il Maestro del villaggio: io scalavo la montagna. La pace sia con voi e con te. Adesso io vivo." che non so quanto sia corretta, tuttavia il senso del brano risiede proprio nel mistero del preciso significato di queste parole orecchiabili. Si tratta forse della famosa montagna di Maometto, che però viene creata dall'alchimista Francis Bacon nei suoi Saggi. Di che tipo di Maestro si parla dunque? Impossibile non far riferimento all'alchimia araba, alla Tavola di Smeraldo in cui "ciò che è in alto è come ciò che è in basso", simbolicamente rappresentato dal volo degli aquiloni e da quel "La mia parte assente s'identificava con l'umidità" che è un riferimento alla Via Secca che è il modo più breve e pericoloso per arrivare all'Opera (altro riferimento al vivere pericolosamente dannunziano?). Quella che ci appare come la canzone più leggera del disco, è in realtà un complesso affresco pieno di riferimenti sapienziali, incluso il richiamo alla vita frugale che conduce alla saggezza più di ogni conoscenza accademica. Tutti riferimenti che possono apparire artificiosi, ma come tutte le vie sapienziali (e quella di Gurdjeff seguita da Battiato nonché dal suo compare Giusto Pio ne è una), è necessario seguirla per coglierli con naturalezza.

Ricca di citazioni incrociati è anche "Frammenti". Da una prima occhiata ci appare come una raccolta scolastica di frammenti appunto da vari poeti, da Leopardi a Pascoli e Carducci.Tuttavia anche qui troviamo un profondo solco esoterico. Gurdjeff infatti scrive: "L’ufficio è il nostro apparato formatore, mentre la segretaria è la nostra educazione, con le sue concezioni automatiche, le sue formule ristrette, con le teorie e le opinioni che si sono formate in noi." con ciò esprimendo un concetto molto caro alla sua Quarta Via e cioè che l'essere umano ordinario è un essere meccanico che vive una vita artificiale da automa. Battiato ci lascia col verso: "Che gran comodità le segretarie che parlano più lingue" il quale, senza precisi riferimenti ci appare ermetico, tuttavia, seguendo il paragone di G., una segretaria che parla più lingue siboleggerebbe una educazione in grado di mediare il linguaggio esteriore da quello del vero uomo che giace sopito nel mondo interiore. Tuttavia, senza voler ulteriormente sovraccaricare di significati questo testo, basti il soffermarsi sulla riva dei testi sparsi, dei frammenti poetici, notando che la poesia e l'arte in genere sono una chiave di comunicare coi nostri mondi interiori e trovare delle vite alternative in cui realizzarci, magari lasciando la città e farci una comune giù in Toscana.

Il disco si conclude con "Passaggi a Livello" che è l'ennesimo piccolo capolavoro di citazioni incrociate che parte con una introduzione classicheggiante seguita da un synth che segue una progressione armonica dal sapore orientale. Da visioni bucoliche, segue la citazione Proustiana (l'aria carica di letame scherzosamente come le Madeleine del Tempo Perduto?):

La musica, molto diversa in questo dalla compagnia di Albertine, mi aiutava a scendere in me stesso, a scoprirvi qualcosa di nuovo: la varietà che avevo invano cercato nella vita, nel viaggio.

Che, a questo punto del disco, suona come una chiosa a interpretare, cercare il senso nascosto in ciò che precede e forse segue poiché il brano si conclude con una vera e propria lista di credits, spunti d'ispirazione per il lavoro che si conclude o forse chiavi di lettura: "Good Vibrations" dei Beach Boys, "Satisfaction" dei Rolling Stones, "'O Sole mio" classico napoletano ma anche riferimento all'oro filosofale, "Lux Aeterna", l'opera di György Ligeti (che fra l'altro compare nella colonna sonora di "2001 Odissea nello spazio" di Stanley Kubrick), "Einstein on the Beach" che probabilmente si riferisce al lavoro di Philip Glass del 1975.

Ok ho sicuramente esagerato e scritto tante cazzate, dimenticate tutto: la recensione parte da qui.

"Patriots" è un vero e proprio viaggio, sia fisico che interiore. Si tratta di un disco meno Pop del successivo "La Voce del Padrone" e forse anche meno maturo e proprio per questo più vicino alle sperimentazioni del Battiato degli anni '70. Ma forse, proprio per questo, mi risulta più caro e risulta caro anche a certa New Wave italiana che proprio da "Patriots" ha tratto enorme ispirazione. Di questa scena voglio citare per brevità solo i Litfiba di "17 Re" e i grandissimi Disciplinatha.

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