"On the Planet Gong they say / If everything goes wrong today /

Fill your Teapot up with tea / Come and take a ride with me /
Down the oily way... 

Ieri sera, a Livorno, a pochi metri da una fiera della porchetta con tanto di giostre e il calcinculo, in una radura attorniata da pini secolari è atterrata un’astronave proveniente dal pianeta Gong. Si tratta dell’ennesima tappa dell’ennesimo Tour (il “2032”), una spedizione formata dai migliori membri possibili (ovvero formazione originale, salvo deceduti): il settantunenne Daevid Allen, Gilli Smyth, Hillage e Howlett; cui si aggiungono Theo Travis ai fiati (una vitaccia sostituire Didier Malherbe), Chris Taylor alla batteria e Miquette Giraudy in cabina di controllo con tastiere e synth.

La band d’apertura è veramente la peggiore band che io abbia mai sentito. Un giovane emulo di Slash, dei fiati pacchianissimi, un cantautore di provincia che fa rimpiangere Vasco e i Pooh. Per loro fortuna non ne ricordo il nome; comunque sia, dopo una mezz’ora in cui i ragazzi rischiano seriamente il linciaggio, il palco si svuota (anche se in realtà sarebbe stato più opportuno un esorcismo). Comunque, quando Allen salta sul palco in pigiama a righe e cappello a punta abbiamo già dimenticato tutto quello schifo.

Il tizio accanto conosce poco i Gong. Mi chiede che ne penso dei pezzi di "Camembert Electrique": la risposta gliela danno i Gong, che aprono il concerto con "You can’t kill me" e "Dynamite" e lo chiudono con "Tropical Fish". Allen è in forma, e il richiamo della luna di «Selene» mette i brividi come nel ’71. La voce ogni tanto si fa aiutare da qualche effetto; ma è il resto a fare la differenza. Perché per Zero the Hero il palco ormai è un salotto: ride, si spoglia, si veste, prende un tè immaginario e balla sinuoso sulle gambe sottili. I fan sono estasiati, ma anche chi è lì per caso è ipnotizzato dal suo carisma.

Al repertorio della trilogia si alternano canzonette e lunghi trip spaziali, guidati da una batteria potente e profonda e un basso sommesso. Il momento clou, oltre alla cavalcata mantrica di "Master Builder", è forse la sequenza "Flute Salad - Oily Way – Outer Temple – Inner Temple". Dopo l’intro di flauto, Allen riappare dal nulla vestito bianco e si spinge quasi tra la folla per descrivere la sua “Via Oleosa”: il groove si taglia con il coltello, e il pezzo si scioglie nel vortice di synth di Outer temple ed Inner Temple, mentre Allen ci invita ancora a prendere del tè.

I fans, insomma, sono in delirio: Howlett infiamma la folla coi suoi assoli, la Smyth la lascia di stucco coi suoi gemiti; Travis fa un’ottima figura al flauto, mentre al sax fa rimpiangere Malherbe un po’ di più. Allen continua a recitare il ruolo che ha creato e perfezionato in quarant'anni. Il repertorio forse lascia fuori troppi classici (praticamente tutto "Flying Teapot" e mezzo "Angel’s Egg"); ma c’è comunque tanta, tanta carne al fuoco, per due ore di musica bella e particolare: i Gong, prima di tutto e nonostante tutto, sono un gruppo unico.

Andateli a vedere in Sicilia il 31 luglio o a Trieste il primo agosto, se siete in zona. Io li ho visti a Livorno ieri sera… Ma andrò a rivederli in Sicilia, un pò perché sarò in zona, un pò perché ho l'impressione che quello di Livorno sia stato solo un sogno.

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