C'era un periodo fino a circa 10 anni fa in cui tenevo una corrispondenza con diverse ragazze, una roba che se ci penso oggi mi fa un po' sorridere anche a causa delle ere tecnologiche che continuano a rincorrersi una dietro l'altra. Fu dal frutto di una di queste che tra i vari cd che ricevetti ebbi anche una copia rigorosamente masterizzata di “Dookie”.

Non ho nemmeno idea di dove sia andata a finire quella fodera con il cd né tutte quelle lettere, forse sono perse nei meandri di qualche cassetto o forse no. Quello che ricordo sono quelle canzoni ed il mio stato d'animo, i miei 18 anni, la ps2 che più che una console era diventata un centro di riproduzione musicale in combinato disposto con il mio piccolo tubo catodico da 14”.
Lei invece è conservata, ancora funzionante, ma non accesa e ignorata da secoli stile “Warning”
E io che ancora rimpiango di non averla mai truccata lei la piccola giapponesina nera.

Sta di fatto che quel cd con il dirigibile in copertina che lanciava missili fu una bella ventata di aria fresca per me ascoltato dopo “American Idiot” grazie anche al periodo immagino. Portavo già gli occhiali, ma Milo Auckerman ancora non era venuto a farmi visita, le arringhe dei Bad Religion invece colpevolmente ignorate.

Da lì in poi dopo aver recuperato quasi tutta la loro discografia non riuscii più ad ascoltare un loro disco post-2004, come avessi una sorta di blocco.

Ricordo di aver sentito qualche singolo negli anni successivi per sfizio ma sul passato più recente non so molto, per quello che mi riguarda però posso attestare che il loro stato di salute oggi non è male. Insomma questi vecchi drogati ed ex pippaioli si difendono ancora bene e sono riusciti a farmi risentire dopo quasi un decennio un altro loro lavoro.

Ovviamente siamo nel 2016 non è il 1992 non c'è più il lo-fi di “Best Thing In Town” (come mi gasava da matti quella canzone), sono spariti i socialisti e il Super Nintendo (o forse no?) e loro sono diventati molto ricchi altro che Longwiew.

L'operazione di lavarsi le mani con il sapone di casa della nonna e buttare il bimbo dalla finestra sarebbe semplice, ma eticamente scorretto, se poi si tace sulle spesso inutili pomposità glam degli Strung Out o sugli ultimi semi-cartonati di plastica dei Rise Against ben nascosti tra la foschia indie e le luci midstream.

A me con il passare del tempo è cresciuta timidamente un po' di barba e i capelli, nei Green Day a parte il conto in banca quello che nel corso degli anni è cambiato più che la direzione artistica sono le produzioni che si sono via via fatte sempre più curate nel post-1994. Metteteci però anche che “Insomniac” è un episodio anomalo.

Però in fondo le canzoni in “Revolution Radio” rispondono presente a cavallo tra tradizione one, two, three non più vergine e rock come nel botto del secondo giubileo di metà anni Duemila.
Certamente con qualche velleità in meno (non c'è una nuova “Jesus Of Suburbia” di 9 minuti sebbene “Forever Now” ne possa ricordare la struttura cangiante tra accelerazioni e sprazzi soffusi) ma la missione può dirsi compiuta tra sussurri vintage in bianco e nero “Outlaws”, prove di epicità non disturbanti “Say Goodbye” e pezzi amarcord da 2m e 30s (no non ho detto hardcore) riusciti come “Youngblood” e “Bouncing Off The Wall” (non so perché ma quel ritornello mi riporta ai primi Oasis boh).
Persino la scelta del singolo ricaduta sulle pulsazioni ritmiche di “Bang Bang” si dimostra quasi coraggiosa (sarebbe stato più logico puntare tutte le fish su “Still Breathing” o sulla title-track) e a conti fatti l'unica cosa che non mi convince proprio è “Troubled Times”.

Insomma pare che il muro tra me e i Green Day sia caduto. Riesco ancora ad ascoltarli abbastanza bene, sono quasi soddisfatto sperando che Mould, Hart e Norton non si incazzino troppo quando torno a spararmi in cuffia “New Day Rising” per la milionesima volta mentre in maniera riflessiva ammiro un altro tramonto.

Chiudiamo con un dato curioso. Descendents, Green Day, Blink-182, Sum 41, Yellowcard che nello stesso anno se ne escono con un nuovo lavoro tutti insieme appassionatamente. Per i Descendents è un vero e proprio gran ritorno dopo 12 anni in questo caso.

Maestri, capiscuola, bulletti e alunni di merda tutti insieme stretti nella morsa del calendario e intrappolati nell'anno bisestile.
Che bella cosa il destino, ma dipende dai punti di vista.



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