Quello che Cave ha lasciato in passato è cosa da non poco.

Ai molti pare ancora di vederlo arruffato, col fiatone e l'ansia che gli animano la voce, pelle vampiresca, buchi e bruciature di sigaretta ovunque, occhi strabordanti di eroina. Il problema è che oramai quel ragazzaccio non c'è più. Con o senza eroina. Anch'io fatico tutt'ora a riconoscerlo. D'altro canto, cosa vi aspettate di poter immaginare da una persona che passava un'ora e più ad urlare sprazzi di simbolismo depravato in un microfono piezometrico sotto effetto di chissà-quanti ettolitri di dolce droga, per vederlo dopo un ventennio duettare con Kylie Minogue?

Io so che la risposta è ambigua quanto la fine che egli ha deciso di intraprendere, ma questa introduzione vuole solo essere riflessiva, un intro munito di non-phatos appositamente scelto per chi come me ricorda quei live catacombali tra Berlino e Londra (che non ho mai potuto ammirare dal vivo, ma che mi hanno segnato e non poco, anche se visionati in differita atemporale). Come dimenticare Tracy Pew, i suoi occhi tutt'altro che lucidi, le sue guance spente, Mick Harvey, la sua magrezza disarmante e giustificata da feedback spaventosamente lancinanti… come? Io guardo i Birthday Party e i Bad Seeds che furono, e mi spavento all'idea che spiriti del genere non avranno più luogo. Ma questo non per fanatismo sviscerato, anzi, solo per nostalgia. Reminescenze di un attitudine mai più riproposta con così tanta sincerità e sbadataggine che apparentemente potevano far sembrare Cave un povero disperato, ma che nell'oscurità delle sue parafrasi lasciavano ombreggiare una dedizione quasi maniacale, una ricerca di perfezionismo estremo ed estremizzato al punto tale da risuonare a prodotto finito come un sovraccarico nervoso di indubbio fascino, e mai riproposto.

I Birthday Party non ci sono più, e per quanto mi riguarda, i Bad Seeds non diedero grande impeto tale da raggiungerne gli albori. Chiuso un ciclo ne viene riproposto un'altro che aspira ad essere subitaneo quanto destinato ad inabissarsi.

"Grinderman", è un lavoro che mi fa capire diverse cose, per prima cosa, la volontà di creare un netto frazionamento tra I BS e quello che prima veniva espletato; in secondo luogo, e mai luogo può ritenersi più innovativo parlando di Nick Cave, il nostro è maturato, ma non da un punto di vista compositivo, bensì ad un punto che nemmeno in passato gli si sarebbe potuto riconoscere. La voce di Cave nel lavoro che mi appresto a descrivere, è infatti quella di un uomo che "ne ha passate di peripezie", e che ora non fa altro che rifletterle su di uno specchio per contemplarle con le basi che meglio gli si vestivono addosso, specie all'inizio della sua straordinaria carriera di artista e di uomo: quelle del blues. Se nei Seeds l'impropria movenza con cui le note prendevano vita, lasciavano più ampie praterie di giudizio e maggiore difficoltà di catalogazione, con "Grinderman" ci si imbatte di fronte ad un ritratto greyano invecchiato e deciso ad ammetterlo. Riprova della volontà di ritornare con qualche capello bianco in più (o in meno?) al blues dell'inizio, è l'esplicita presenza di Jim Scalvunos dei Cramps alla batteria, Warren Ellis dei Dirty Three alla chitarra, e come se non bastasse, di Martyn Casey dei Triffids al basso. Questi tre elementi supplementari alla calda e profonda voce di Cave, non fanno che dare maggiore solennità verso quello che è un passato che difficilmente potrà riprendere forma, ma che tutto sommato lascia ancora increduli e sgomenti.

Il disco assume sagome discontinue a non finire:

-si parte da "Get It On" e si crede di avere a che fare con un monologo senza fine straziato piacevolmente da una chitarra al limite del groove, qualche tocco di piano e desertici sonagli;

-"No Pussy Blues" è invece una pagana riproduzione di qualche sintomo "stoogesiano" che affibbiata a Cave rende il gioco più divertente e degno di un "Blues senza figa" (?);

-degna di nota è la splendida double track "Electric Alice/Grinderman" che con fare misticheggiante può rilasciare radiazioni epidermiche tali da dare più di una sensazione, e ricordare per le tonalità il santissimo Leonard Cohen, effetto questo, che commuta colore inseminandosi nella siamese "Grinderman" che (lasciatemelo dire) credo sia l'unica vera perla del disco, semplice, comunicativa e pregna di poetica quanto di estetica.

Le rimanenti canzoni sanno invece di improvviso singulto dedito alla terapia Bad Seeds (mi riferisco in particolare a "Decoration Day", "Love Bomb" e "Man On The Moon".

In definitiva, il grinder-uomo presenta un encefalogramma dagli sviluppi interessanti, sonorità semplici ma ricercate, e cosa per me molto importante, in grado di far ricordare l'artista che è Nick Cave, reo di saper fondersi senza problemi con personalità di spessore musicale, tutt'altro che a lui similari. Un' "operetta" che riesce tuttavia a far capire cosa si debba essere per avere ancora la capacità, e la voglia, di voler affrontare se stessi senza risultare ipocriti, patetici, o ancora peggio, scaduti (e conseguentemente scadenti).

La sincerità che popola questo disco è disarmante, molto più incisiva di altri passati lavori e delle pesanti critiche a cui è gia stata sottoposta. Prego di vederne il contenuto con un fare distaccato, perchè questo secondo me è un altro Nick Cave, e non sta bene essere scortesi con chi è morto e poi risorto.

Con sincerità (mia, questa volta), è davvero un piacere vederla ancora in piedi, continui così signor Cave, continui così..

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