Grinderman (2007)

 

Il nuovo progetto musicale di Nick Cave.

 

 

Il ritorno di un personaggio unico e inimitabile. Di colui che usa le parole come lame taglienti e la voce come un organo nostalgico e inquieto. Del “poeta maledetto” del rock. Torna con un nuovo progetto, una nuova formazione e un nuovo disco: "Grinderman"!

Inclinazioni garage-rock, con qualche influenza post-punk a segnare il suo ritorno, ma forse anche un ritorno ai gloriosi anni dei Birthday Party, come alcuni sostengono. Per quanto mi riguarda, invece, riconosco in ogni traccia orme del nuovo Nick: quello acuto e consapevole dell’ultimo decennio; quello delle sofferenti canzoni ossessive, sempre pervase di ansia e volontà di redenzione.

Partiamo dalla formazione. Cave alla voce, al pianoforte e, curiosamente, alla chitarra oltre a tre altri Bad Seeds come Warren Ellis (violino), Martyn P. Casey (basso) e Jim Sclavunos (batteria). Il progetto comincia a prender forma nel 2003, quando i quattro artisti iniziano a suonare in questa formazione inedita. Dopo varie performances live, Nick Cave e gli altri decidono di registrare qualcosa di nuovo, d’inedito.

Grinderman è una ventata di freschezza, di una nuova energia che riesce ad esprimersi in ogni traccia. Dalla più sfrontata apertura con “Get It On”, che inaugura il disco con le sue ripetitive e graffianti chitarre, alla temporanea sospensione delle distorsioni con “Electric Alice” e “Grinderman”, che instaurano un regime di inquietudine in cui la voce di Cave si fa solenne, quasi sciamanica. Per poi continuare con brani che più si avvicinano agli ultimi lavori dello stesso leader. Incantevoli ballate che ruotano attorno ad un unico e reiterato riff di basso che ben si presta a mettere in risalto il grintoso timbro del cantautore di prima classe. Fra queste meritano una menzione particolare “Chain of Flowers”, sobriamente soul, e l’irruenta “Don’t set me free”, dove a dominare sono gli archi che creano una struttura musicale solida e robusta (che forse già da sola vale il prezzo, seppur elevato, dell’album!). Inattesi passaggi: con l’ottava traccia (“Honey Bee”) si passa dalla martellante batteria qua e là puntellata da frenetici assoli di violino elettrificato (“Love bomb”), a improvvisi miscugli di organo ed elettricità che, sballottandoci, ci riportano alle ritmiche dell’inizio per poi riproporre melodiche ballate coinvolgenti con “Man on the Moon”.

Che dire: forse che dal seme del passato ancora fiorisce nuova linfa, che non si specchia nel “già sentito” ma che va dritto all’inconsueto, all’unico.

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