Intorno alla fine degli anni 80, Los Angeles era quello che potremmo definire un gigantesco bordello. Centinaia di giovani metalhead con la passione per l'eye-liner e le cotonature, che preferivano (chiamali scemi) una vita passata fra concerti, ragazzine più o meno disponibili e tanta droga piuttosto che una chiusa in un ufficio a lavorare per il boss, prendevano in mano gli strumenti e formavano band sulla scia di Nikki Sixx e soci, sperando di essere più estremi e immorali di tutti gli altri.

Questa idea semplice ed edonistica della vita si rifletteva sulla musica e sui testi: chitarre distorte, voci sporche che urlavano volgarità alla "Bitch" di turno e sezioni ritmiche in perfetto stile hard rock americano davano vita ad un suono viscido (sleazy, appunto): non c'era spazio per malinconia, vittimismo, lamentele e reclami assortiti, c'era solo la voglia di elevarsi dalla polvere del Sunset Strip, con la consapevolezza che più in basso di così non si poteva andare.

Molte furono le band che ebbero origine da questo humus metropolitano, basti citare i L.A. Guns, i Vain o gli Skid Row, alcune di esse scrissero pietre miliari del genere, altre invece passeranno alla storia come semplici imitazioni. Tuttavia una sola fra queste riuscì dove le altre fallirono ed ebbe il suo breve periodo di gloria: i Guns N Roses che nell'estate del 1987, con "Appetite For Destruction", finalmente conquistarono la gloria tanto agognata.

Trainato dal ritornello piacione e orecchiabile di Paradise City, il disco arriva in cima alle classifiche di mezzo mondo, portando il suono sleaze nelle camerette di una generazione di giovani rockers.
E' semplice hard rock suonato con attitudine punk, quello proposto dalla band di Axl e soci, tuttavia è proprio l'idea semplice e non premeditata che è alla base del disco a sancirne la consacrazione.

Tutte le dodici tracce sono dei classici, fra queste però spiccano la violenza di "My Michelle", che fin dai primi versi ci fa capire in che razza di ambiente vivevano le cinque rose, la tamarraggine di "Nightrain", dedicato al vino a basso prezzo, e l'atmosfera da "Worst Pub Ever" di "Rocket Queen", ultima traccia del disco, nonché  vero capolavoro del genere: riff viscido che si rifà agli Aerosmith di "Toys In The Attic", ritornello melodico (chi non l'ha mai cantato, proiettandosi nei panni di un'ipotetica rockstar?), assolo corroborato da un orgasmo (che non guasta mai) e finale strappalacrime. Wow.

In seguito Guns N Roses terranno fede al loro credo "Sex Drugs 'N' Rock 'N' Roll" e si riveleranno delle stelle cadenti: della violenza e dell'attitudine street di questo disco non rimarrà niente, se non il logo con le rose stampato su migliaia di magliette, la band rinnegherà le proprie origini implodendo su sè stessa, il fan riporrà il vinile nella sua custodia, perché è "musica da quindicenni, buona per avvicinarsi al rock, poi però si passa ad altro". Credici.

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