Alcuni dischi in Italia non vengono considerati, e peccato che questo sia uno di quelli.
Gli Indochine, un gruppo che con il passare degli anni ha scritto la storia del rock francese, tornano nel 2002 con Paradize, l'album più celebrato del gruppo.
Le sonorità sono particolari: chitarre distorte ed uso estremo di sintetizzatori, mescolando rock, elettronica anni '80, sonorità cupe stile Cure e sataniche di Marilyn Manson, creando una miscela irresistibile. I testi invece parlano di sesso, fede, vita e morte, che assumono toni ambigui in alcune occasioni, facendo risultare il disco completo.
Di rilievo le collaborazioni: Phil Délire produttore, Gareth Jones al mixaggio e Melissa Auf Der Maur che presta voce e basso in "Le grand Secret".

Il disco si apre con "Paradize", "Electrastar" e "Punker", tre canzoni sostanzialmente uguali musicalmente, caratterizzate dal uso di 3 chitarre elettriche, ma con una melodia che rende i pezzi comunque orecchiabili.
In "Mao boy!" invece è la chitarra acustica di Nicola Sirkis a prendere il sopravvento per poi arrivare a "J'ai demandé à la lune", una ballata post-rock triste e malinconica che sancisce la fine della prima parte del disco. Infatti dopo questa, inizia il vero Paradize.

"Il mondo è perverso e io continuerò a sfidarlo": debutta così Nicola Sirkis in "Dunkerque", che riporta alle tipiche sonorità cupe dei Cure e con un testo che già dai primi versi esprime l'idea di mondo secondo il leader. Segue "Like a monster", inquietante ma non di rilievo come "Le grand secret", dove cantano Nicola Sirkis e la voce "angelica" di Melissa Auf Der Maur. Una canzone che ti rapisce per la semplicità della composizione, dominata dai sintetizzatori e ricorda "Don't give up" di Peter Gabriel.

La fiabesca "La nuit des fees" assume toni più oscuri e... a tratti ossessivi... se dovesse essere inserita nella colonna sonora di qualche horror non stonerebbe.
"Marilyn" e "Popstitute" sono due cavalcate rock nel vero senso della parola, dove rimangono sonorità inquietanti e testi che assumono connotati ambigui, intervallate da "Le manoir", che riprende sonorità oscure, e seguite da "Dark", con un testo tutt'altro che facile, pieno metafore liturgiche che descrivono la morte. "Comateen 1" prepara l'ascoltatore al finale "Un singe en hiver", un tripudio di tastiere in cui vengono decantati ricordi dell'Indocina.

L'album deve essere ascoltato più volte per recepirlo al 100%, ma al primo ascolto non si rimane delusi dal cambiamento sonoro che Nicola Sirkis e i suoi 5 soci hanno sviluppato nel corso degli anni.

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