Premessa: questa recensione sarà lunga e prolissa come l'album di cui parla: siete avvertiti !
Non ci siamo! Questo album degli Iron Maiden non mi piace, o almeno non mi piace abbastanza per come mi hanno abituato anni fa con album che hanno fatto la storia dell'heavy metal. "The final frontier" è un album autoreferenziale al massimo, quasi al livello del plagio di se stessi e a parte qualche pezzo e qualche spunto interessante lo reputo noioso.
E dire che l'intro "voivodiano" "Satellite 15" mi aveva incuriosito... non mi sarei mai aspettato un pezzo così dai Maiden: moderno, futuristico, e con ritmi del tutto inusuali per loro. Anche la successiva title-track mi è piaciuta, perché è una di quelle canzoni che ti entra in testa, è diretta e fa venir voglia di cantare già al primo/secondo ascolto.
"El dorado", che ormai sapevano anche i sassi visto che era stata rilasciata per il download già qualche settimana fa, è un pezzo che mi piace; la cavalcata iniziale di basso pur essendo quanto di più maideniano ci sia, ci sta alla grande, spezzata da qualche riffazzo di chitarra e resa dinamica da un buon lavoro di Nicko dietro ai tamburi. Una partenza classica suppportata poi da una bella parte vocale e un bridge più "oscuro" che poi si apre per lasciare spazio al ritornello che aspetta solo di essere cantato a squarciagola; bella anche la parte degli assoli, dove i tre chitarristi si susseguono l'un l'altro mettendo in evidenza le loro differenze stilistiche (oddio...Gers...!!!).
La successiva "Mother of mercy" è un brano niente male, forse il meglio riuscito di tutto l'album, con un buon lavoro delle chitarre e un Dickinson davvero ben ispirato; veramente un bel pezzo, strutturalmente molto maideniano ma davvero molto riuscito. E qui arrivano le note dolenti: "Coming home" apre con un bel riff a doppia chitarra e un tempo sincopato che lascia ben sperare, ma poi diventa praticamente la copia di "lord of light" (del precedente album), mentre il ritornello ricorda vagamente "blood brothers". Carini gli assoli, che però da soli non riescono a risollevare il giudizio su una canzone che rimane mediocre.
"The alchemist" è la brutta copia di "Man on the edge", dalla quale prende quasi tutto ma riesce a risultare più monotona; sarà forse perché il pezzo di batteria non cambia mai dall'inizio alla fine ? Mah...
"Isle of avalon" dura 9 minuti, ma se contiamo che i primi due minuti e mezzo sono di arpeggio iniziale che non centra nulla con il resto del pezzo e che al sesto minuto invece di finire ricomincia da capo, rimangono 4/5 minuti di canzone che, a parte la parte centrale con un assolo dal gusto molto progressivo non fa gridare al miracolo e che non diventerà certo un classico da ricordare.
"Starblind" è un brano che potrebbe benissimo iniziare al minuto 2 tagliando l'onnipresente (ed inutile) arpeggio iniziale. Stavolta però il pezzo è piuttosto interessante e sembra quasi uscito dal periodo dickinsoniano di "Skunkwork"; non è banale e anche i riff, accompagnati da qualche bell'assolo qua e là e qualche inserto di tastiera, lo fanno diventare interessante e meritevole. L'ultima parte è un bel pezzo strumentale, con assoli concatenati ben ispirati; peccato che anche stavolta, al sesto minuto, quando la canzone è praticamente finita, ricominci da capo, pertanto gli ultimi due minuti non fanno altro che appesantirla senza ragione.
"The talisman" attacca con un arpeggio vagamente celtico che, guarda caso, rimanda a "The legacy", brano finale del precedente album, mentre dopo due minuti e mezzo inizia il pezzo vero e proprio, che risulta però essere privo di note di interesse e sa di trito e ritrito. Gli ultimi due pezzi, forse per non smentirsi proprio alla fine, durano in totale 20 minuti. Ci troverete anche qui arpeggi iniziali con un pò di tappeti di tastiera, accelerazioni del tempo al terzo minuto o giù di lì, assoli e lunghe parti strumentali e, attorno al sesto minuto, le canzoni ricominceranno dalla strofa e tireranno avanti fino a riempire ogni millimetro quadrato della superficie ottica del CD. Ovviamente non aspettatevi che si avvicinino neanche lontanamente a "Rime of the ancient mariner", "Alexander the great", "Hallowed be thy name" o "To tame a land", anche questi pezzi lunghi che chiudevano altrettanti album, ma con ben altro stile e ispirazione.
Concludendo abbiamo 10 pezzi e un'ora e venti abbondante di musica, di cui da salvare circa la metà o poco meno; a mio avviso questo è il più debole degli ultimi 4 album dell'epoca Dickinson 2.
Cosa non ha funzionato? Innanzitutto la durata è eccessiva e, se non ho reso abbastanza l'idea, diversi pezzi sono allungati "artificialmente" con 2 minutini di arpeggi inutili e altrettanti minuti attaccati quando la canzone invece dovrebbe finire, riproponendo il tutto dall'inizio. Come se non bastasse alcuni pezzi ricordano troppo altri brani scritti sempre dagli iron. Le linee vocali sono costantemente a tonalità altissime e, benché la bellezza e la grandiosità della voce di Dickinson non sia in discussione, risulta essere sempre al limite, e questa cosa appiattisce un pò troppo i pezzi. Un chitarrista come Smith, grazie a Dio rientrato in formazione ai tempi di "Brave new world", dovrebbe avere più spazio, sia dal punto di vista compositivo sia per quanto riguarda gli assoli; vogliamo ancora pezzi come "stranger in a strange land" e "wasted years" e magari riascoltare assoli come quelllo di "Powerslave" o "Moonchild". Invece tutti i brani di questo "The final frontier" sono stati scritti da Harris (e si sente) e i soli di Adrian, pur essendo i più belli, sono impastati nei pezzi e non risaltano come dovrebbero. Forse insomma è il caso di dare più spazio a tutti, e permettere che sonorità diverse riescano a contaminare il suono monolitico dei Maiden; guarda caso "Seventh son..." e "Somewhere...", dove gli Iron hanno provato a sperimentare qualcosa di nuovo, dopo una prima diffidenza oggi vengono considerati non solo dei classici ma due degli album più belli del gruppo. Per finire manca un pezzo da ricordare: non c'è la "Clansman" della situazione, che anche in un album brutto come "Virtual XI" riusciva ad emergere e annche oggi fa venire i brividi. Non ci si aspetta che gli Iron sfornino un'altra "2 minutes...", "the trooper" o "run to the hills", ma stavolta non riesco a trovare neanche un brano che possa rimanere nel tempo ed essere ricordato.
Nulla di positivo dunque? No, in primo luogo perché i Maiden torneranno in tour (in Italia è già passato) e sarà come sempre uno spettacolo per occhi e orecchie. E poi qualche canzone bella c'è e tutto sommato anche i fano più sfegatati dei Maiden (come me) non rimarranno del tutto delusi. E' però vero che, se i loro album più belli li ho ascoltati tanto da rovinare il nastro delle cassette o da rigare il vinile, da qualche anno a questa parte non sento il bisogno di mettere nel lettore CD uno dei loro ultimi album, tantomeno questo "The final frontier", che presumo girerà ben poco nel mio stereo.
I Maiden sono tornati: viva i Maiden! Io però vado ad ascoltarmi powerslave...
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