Siamo nel 1976: Jeff Beck, il virtuoso della sei corde che da quasi un decennio ha cominciato a segnare la storia della chitarra rock negli Yardbirds prima e nel gruppo recante in calce il suo nome poi, in quest'anno cerca di bissare il successo di "Blow by Blow", album solista considerato come uno dei punti più alti della sua carriera. Ci prova con un nuovo e ambizioso disco di musica fusion: "Wired".

In questa occasione è accompagnato da una "line-up" di tutto rispetto, composta dall'amico tastierista Max Middleton (presente nel già citato "Jeff Beck Group"), la macchina del ritmo Wilbur "Bad" Bascomb al basso e due storici membri della Mahavishnu Orchestra, ovvero Jen Hammer (anche lui addetto a tastiere e synth) e il batterista Michael Narada Walden.

L'alchimia di questa band è sensazionale, dal momento che Jeff permette ad ognuno dei propri gregari di esprimersi al pieno delle proprie possibilità; già dalla prima "Led Boots" (sincopato omaggio al dirigibile dell'amico Page e un grande classico delle esibizioni di JB in live), il gruppo sfoggia un tiro allucinante, grandissima preparazione e creatività.

A proposito di Jeff: è ironico il fatto che in questo disco il nostro brillante chitarrista tiri fuori alcune delle più belle melodie che abbia mai composto, uno dei toni più espressivi di sempre dal proprio strumento e che tuttavia venga costretto a passare in secondo piano di fronte alla incredibile sezione ritmica di Bascomb e Walden, che si lanciano innumerevoli volte in sezioni ricche di groove, colorate e trascinanti ("Come Dancing", "Play With Me").

Troviamo momenti più rilassanti nella rivisitazione dello standard jazz di Charles Mingus "Goodbye Pork Pie Hat", nella dolce "Love is Green" e nella melodica "Sophie", ma in generale il disco è all'insegna del funk, del blues rock e di sonorità jazz- fusion a tratti decisamente pirotecniche (l'innesto dei membri della Mahavishnu in questo senso si fa sentire parecchio).

Se "Wired" non riesce a raggiungere l'eterogeneità del predecessore o ad averne lo stesso impatto, riesce di sicuro a ritagliarsi un posto di rilievo nella discografia del chitarrista inglese, grazie alla sua invidiabile formazione e molti brani di spessore.

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