Ho indovinato? Un altro nerd con chitarra, brufoli e giornali a fumetti seduto in una fumosa camera dell'East Village tra sigarette spente e odore di marijuana? Sì, ho indovinato.

Jeffrey Lewis (e qui sta già la prima cosa divertente) è la prova concreta che il modello sono sfigato-sono sballato-scrivo canzoni sia ben lungi dal morire. Attivo da un bel po' nel sottobosco dei folksingers devastati dall'acne (circa millenovecentoenovantotto quando pubblica la sua prima cassetta) proviene da una costola dei Fugs (misconosciuta band dedita a punk-art e weirditude) e non ha un cazzo da dire.
Le sue storie hanno il pregio di non annoiare e il difetto di riuscire a divertire pur risultandoci il soggetto invariabilmente antipatico. Figlio di genitori beat, terribilmente di tendenza negli anni 90, regala all'auditorio un bel poker di parole sconnesse nella prova oggetto di questa nostra opinione.
"It's the ones.." (omissis) è un bel pasticcio di folk devoto alla triade urbana Kimya Dawson, Adam Green, Daniel Johnston (del quale il nostro si dichiara figlioccio). Storie di demenza, filastrocche con i numeri, porcherie in rima, uomini ragno, popcorn a noi ricorda molto una versione di Milky Whimpshake (di cui parleremo) a cui hanno staccato la corrente.
Siamo molto felici che nessuno ascolti questi dischi, che a pochi arrivino queste parole e che sempre di più si dedichino a minestre pronte.
Questa recensione oltre a travalicare il mero dato musicale si propone come incentivo alla ricerca, al coraggio e al supporto delle esperienze indipendenti.
Per farne parafrasi: "don't let the record label bring you down".

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