Il leggendario menestrello inglese del rock, e la sua fenomenale band, sono ancora in forma smagliante, nonostante i cambi di formazione e gli anni che passano. E potete sentirlo in questo CD, composto da live suonati in posti e tempi differenti (1989-2001), in cui Ian Anderson fa (ancora una volta) sfoggio dei suoi virtuosismi folli ai fiati, della sua voce sempre all'altezza.

Non sto qui a descrivere "Aqualung", "Ministrel in the gallery", "Stand Up", "Thick as brick": forse proprio in questi quattro dischi si può racchiudere l'opera più significativa, riassunta egregiamente dal titolo ("Living with the past"), alquanto auto-celebrativo. Genere misto di progressive (alla King Crimson e Yes) ed hard rock classico, notevolmente arricchito dalle note di un grandissimo flautista-rock quale il leader della band. Si tratta pur sempre di un'antologia di live & acoustic-session: essa, in verità, non contiene molti pezzi fondamentali (uno su tutti, "My God", ed il suo meraviglioso assolo ai fiati), ma comunque è consigliata a chi conosce poco la band. Possiede infatti il pregio di fare comprendere al fortunato davanti allo stereo (in una sintesi di circa 74 minuti) la bellezza e le caratteristiche (anche meno note) che hanno fatto dei Jethro Tull un'icona inossidabile.
Flauto suonato magistralmente, con estro ed originalità, chitarre acustiche ed elettriche degne dei migliori The Who, uso di sincope, arresti improvvisi della batteria, e come se non bastasse numerose influenze folk e di musica medievale.

Dopo una brevissima intro, si parte con la blues/prog oriented "My Sunday Feeling": già siamo calati nell'atmosfera magica della band. Si prosegue con "Roots to Branches", la medievaleggiante "Jack in the Green", la quasi-reggae(!) "The Habanero Reel", la grintosa "Sweet Dream" accompagnata da un massiccio riff del chitarrista Martin Barre e dalle note di Anderson, e la notevole "In the Grip of Stronger Stuff". È poi il momento di due chicche ultra-classiche: "Aqualung" e "Locomotive Breath". Come non essere percorsi da un brivido nel momento in cui sentiamo il lungo assolo della prima, uguale all'originale nella prima parte e meravigliosamente variato nella seconda? Senza soffermarci poi sull'intro di pianoforte della seconda, le cui prime note fanno esaltare i presenti al concerto... è la volta della malinconica (non poteva mancare) "Living in the past", a seguire la fulminea "Protect & Survive". Nel sentirla, molti capiranno perchè Steve Harris cita questa band tra le influenze fondamentali degli Iron Maiden. "Nothing is Easy", canta Ian, mentre noi pensiamo che è piuttosto facile per lui farci restare a bocca aperta... ma siamo ancora a metà del disco! Onnipresente, è utile ribadirlo, ai fiati, a dimostrazione che uno strumento come il flauto traverso può essere parte integrante (come ritmica cadenzata o solismi da infarto) di un brano rock. E sono in pochi ad averlo fatto... Tra gli altri pezzi, citiamo l'acustica "Wond'ring Aloud", tre pezzi tratti da "The Zurich dressing room tapes" (1989) (tra cui "Cheap Day Return"), la particolare "Dot Com", infine la bella "Fat Man", il classico blues "Some Day the Sun Won't Shine for You", e l'ancora una volta medievaleggiante "Cheerio".

Se ci fosse ancora bisogno di dirlo, ogni pezzo è accompagnato dalle note del flauto traverso di Ian Anderson, e dalle sue ritmiche complesse, senza però mai "degenerare" nella sperimentazione selvaggia. Unica nota di "demerito": forse (forse...) 21 tracce in un CD del genere sono eccessive, soprattutto per chi (come me) non ama particolarmente i doppi/tripli CD e/o cofanetti vari. Voglio dire: molto meglio ascoltare gli originali, uno alla volta. E, in effetti, dopo aver ascoltato questo, la voglia è quella di riesumare TUTTI i loro dischi del passato...

Carico i commenti... con calma