Questa è la storia di Jackson Carey Frank, uomo e cantautore, scritta da un suo amico, tale Jim Abbott, che usa per l'occasione uno stile narrativo asciutto e "cronachistico" - a sottointendere che non c'è bisogno di calcare troppo le tinte, emotivamente parlando, al cospetto della sequenza di tragedie che colpì il personaggio protagonista del libro. Abbott connobbe Jackson nella fase finale della sua vita, facendo di tutto per salvarlo e arrivando, sentitosi investito da una sorta di "missione evangelica", persino a buttare via una casa e un matrimonio. E anche dopo la sua morte spese un enorme impegno nel raccogliere il maggior numero di informazioni possibili con il preciso scopo di pubblicare questo "libro di memorie"; perchè la sua missione non era mica finita, essendoci la piena coscienza di un talento musicale straordinario che doveva essere riscoperto ad ogni costo.

Ma chi è Jackson Carey Frank? Beh, la risposta non può essere di certo breve; ma per amor di sintesi si può dire che egli fu innanzitutto e soprattutto un uomo sferzato a sangue dalla sorte e a cui non ne andò una buona. Lo stesso Abbott più volte ricorre all'immagine di un uomo sopra il quale pende una nuvola nera sempre pronta a minacciare tempesta anche in quei pochi momenti in cui essa stessa è trapassata da qualche timido raggio di sole.

L'evento chiave che costituì un punto di non ritorno in negativo della sua vita avvenne a soli 12 anni e fu l'incendio scoppiato nella sua aula durante un giorno di scuola e al quale sopravvisse con il corpo lesionato per il 60 %. I danni fisici furono enormi: rimase zoppo a vita e le febbri dei giorni successivi compromisero la funzionalità delle paratiroidi (che regolano la quantità di calcio nel sangue), con il risultato che da lì in poi ebbe sempre costanti dolori alle articolazioni. Tuttavia, sicuramente più incalcolabili furono i colpi subiti dalla mente e dall'anima. Queste ferite non si cicatrizzarono mai, anzi, più passò il tempo e più si dilatarono, trasformando questo immenso trauma dell'infanzia in una schizofrenia parainodea che crebbe come un cancro e che minò la sua intera vita adulta (dagli anni '70 in poi i ricoveri negli istituti psichiatrici furono innumerevoli). Incredibile a dirsi, ma anche in una simile catastrofe avvenne un qualcosa di positivo. Le ustioni e i problemi ormai irrisolvibili alle articolazioni ossee non gli impedirono di tenere la postura adatta a suonare la chitarra, nel momento in cui un insegnante gliene donò una durante la lunghissima degenza.

Il resto dell'adolescenza trascorse in maniera relativamente serena, contrassegnata dall'hobby della musica e dalla crescente passione per le macchine. Infatti quando a 21 anni, raggiunta la maggior età e ottenuto un cospicuo risarcimento dal governo, si imbarcò per l'Inghilterra con la compagnia della fidanzata di allora e della chitarra nella speranza di fare affari con le macchine, di certo non così deciso nell'intraprendere la carriera da cantautore. Eppure quando giunse a Londra, oltre a dilapidare i 100 mila dollari di risarcimento in breve tempo, riuscì a inserirsi in sordina, ma lasciando un'impressione fortissima, nella scena folk locale nel biennio 1964-1965. Non a caso Paul Simon, anche lui rifugiatosi in Inghilterra dopo delle delusioni commerciali, gli propose di registrare un disco, di cui fu produttore, e che si caratterizza per il nitido fingerpicking alla chitarra acustica e per l'emozionante voce baritonale che domina le dieci canzoni, non meno che perfette. Durante la registrazione però si intravidero i primi segni di una grande fragilità psichica: per lui fu impossibile suonarle e cantarle, finchè non venne sottratto alla vista dei tecnici da dei pannelli. Purtroppo, nonostante si fosse nel bel mezzo del "revival folk", vendette solo cinquemila copie; una delle quali fu certamente acquistata da Nick Drake, il cui "Pink Moon" è semplicemente inconcepibile senza questo disco. Nonostante la bellezza inattaccabile delle sue canzoni e la stima di tutti i suoi colleghi (da Bert Jansch a John Renbourn, da Roy Harper a Sandy Denny, con la quale ebbe una breve relazione), fu l'unico disco della sua vita. E così divenne inevitabile il non credere più nella possibilità di sfondare nel mondo della musica e il ritorno negli Stati Uniti.

A questo punto penso che sia giusto interrompere il racconto delle traversie successive subite da Jackson: esse sono elencate e descritte con dovizia di dettagli nel libro. Anche perchè più si va avanti nel racconto è più ci si rende conto che la vera tragedia non sta nei singoli avvenimenti negativi, che si affastellarono impietosamente sul suo corpo e sulla sua anima, ma nella totale incapacità di opporre resistenza a essi, nell'abbandonarsi alla più totale deriva senza il minimo amor proprio, nel distruggere quel poco di buono che aveva tra le mani, nell' ineluttabilità con cui venivano compromesse sia le relazioni amicali che quelle sentimentali a causa di una mente sempre più deviata, nel ridursi a un fantasma, sempre più obeso, trasandato e fatalmente isolato dal mondo, imprigionato in una sorta di dimensione parallela, perseguitato dal ricordo di quelle fiamme che quasi lo divorarono e dal senso di colpa del sopravvissuto per miracolo (altro concetto che Abbott ripete spesso).

Una cosa che desta stupore però sta nel fatto che riuscì ancora a scrivere e cantare canzoni di una bellezza superba, seppur con una voce totalmente cambiata, in quanto arrochita da decenni di sigarette e segnata da affanni respiratori sempre più gravi, nelle poche volte in cui delle circostanze fortuite, in concomitanza con dei momenti di ritrovata lucidità mentale, gli permisero di tornare in uno studio musicale nel tentativo di pubblicare un secondo disco. Queste canzoni, insieme a quelle del primo e unico disco, sparpagliate in varie raccolte postume, costituiscono un lascito meraviglioso la cui riscoperta (sempre più crescente a partire dagli anni '10 dell'attuale secolo) non potrà mai redimere l'inferno in terra vissuto da quest'uomo nel corso della sua vita. Perchè questa è la storia di Jackson Carey Frank, una straziante tragedia che lascia nel leggerla un sentore acre di impotenza; come se non bastasse neanche il provare pietà per trovare un senso che la giustifichi.

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