Tre-quattro anni fa, dopo la pubblicazione di "Fanfare" sono stato a sentire Jonathan Wilson all'Auditorium a Roma: non mi succede così spesso come potrebbe sembrare (va bene, questa non è stata l'unica volta...), ma poco dopo l'inizio del concerto, sono sprofondato nella poltrona e mi sono addormentato. Credo di non avere mai assistito a qualche cosa di così noioso. Sicuramente già il disco non era particolarmente entusiasmante, ma la performance dal vivo fu ancora peggio. Mi sono così addentrato nell'ascolto di questo suo ultimo disco con un certo scetticismo e spinto più che altro dalla grande attenzione al riguardo della maggior parte delle webzine italiane e internazionali e quello che posso dire è che le mie perplessita erano giustificate, perché sinceramente questo disco è veramente brutto.

Pubblicato lo scorso 2 marzo, "Rare Birds" è il terzo LP su Bella Union del compositore, musicista e influente producer Jonathan Wilson. Nato nel 1974 a Forest City nel North Carolina, in particolare a partire dal 2011 (dopo la pubblicazione di "Gentle Spirit") Wilson è diventato uno dei musicisti e producer più attenzionati e ricercati in un certo background della scena musicale contamporanea americana e internazionale, tanto che Roger Waters lo ha voluto con sé nel suo ultimo tour. A lui si deve in particolare il grande successo di J. Tillman aka Father John Misty e le cui pubblicazioni con questo moniker sono tutte state curate da Wilson in persona. Proprio J. Tillman è tra l'altro anche una delle tante guest dell'album e tra cui troviamo (tra gli altri) anche Jessica Wolfe e la stellina del pop Lana Del Rey.

Secondo me nel complesso non c'è molto da dire su questo disco. Del resto "Rare Birds" è un disco le cui canzoni hanno un carattere forzatamente vintage e che fondano su di un manierismo tolomeo: un'opera lunga - quasi interminabile... - e priva di ogni contenuto rilevante sul piano emotivo. Questo vale per l'album nella sua complessità anche quando JW si disimpegna in pretese John Lennon ("Sunset Blvd") e psichedelia Beatles ("Miriam Montague") e forme pop nello stile Kurt Vile oppure War On Drugs ("Over Midnight", "There's A Light", "Living With Myself", "Hard To Get Ovee"...). Jonathan Wilson appartiene a una cultura musicale geocentrica e al cospetto della quale la scienza e le teorie copernicane non fanno nessuna presa. Ma che cosa fare davanti a tanto immobilismo sia sul piano rotatorio che concettuale? Il mio suggerimento è quello di dichiararsi colpevoli di "eresia". Tanto la vostra condanna in fondo l'avrete in ogni caso già scontata nel tentativo inutile di provare ad ascoltare questo disco.

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