Ormai si sa, di questi tempi c'è poco spazio per la contemplazione. Assaliti da mille problemi, mutui da estinguere, lavori da difendere con le unghie e intenti a combattere per ottenere un briciolo di riconoscimento. La frustrazione è la sensazione più sperimentata in questo mondo frenetico, che non manca di calpestarti se non sei capace di domarlo e cavalcarlo. C'è chi da decenni va proferendo che l'Arte è morta, che l'umanità è caduta in un baratro di sterilità creativa ed il cui unico futuro risiede nel riciclaggio di vecchie idee. Questo ragionamento può essere in parte vero, ma l'Arte non è mai morta, ha solo cominciato a scorrere per vie nascoste, si è fatta elusiva ed è necessario cercarla e imparare a riconoscerla.

E' in questo contesto che Joni Mitchell, che secondo i moderni standard dovremmo giudicare un dinosauro proveniente da un'altra era geologica, pubblica un album intenso ed impegnato, ritratto indolente di una società in disfacimento governata da uomini arroganti. Il titolo di questo nuovo lavoro, il primo di inediti dopo il passabile Taming the Tiger (1998), è Shine. E' un'uscita importante per il mondo della Musica, lo sarà sicuramente meno per i profitti dell'industria. Ma Joni Mitchell è da tempo abituata a passare inosservata.

L'album parte con un brano strumentale intitolato One Week Last Summer che si costruisce a partire dalle note di un pianoforte suonato dalla stessa Mitchell. Il sax alto di Sheppard va a costituire l'ideale voce narrante. E' un pezzo onirico e fluttuante, che diventa bellissimo dopo qualche ascolto e che rimarrà sino alla fine dell'album la canzone più distesa e gioiosa. Con le ultime note di One Week Last Summer si passa a This Place, in cui la ritrovata voce della Mitchell fa il suo esordio. E' lontanissima da quella voce flautata degli esordi, lontana dalla voce sofisticata del periodo jazz, ma non per questo dobbiamo disperare. Anni di fumo hanno conferito a queste splendide corde vocali uno spessore invidiabile, un tono se possibile ancor più suadente e incisivo. Fa tenerezza ascoltare le parole di This Place, triste canto dedicato alla nostra Terra dilaniata dall'ingordigia economica e dalle guerre. Alla fine della terza strofa possiamo sentire questa frase: "When this place looks like a moonscape / Don't say I didn't warn ya...". Come non darle ragione? Proprio lei negli sessanta ci aveva avvisato della brutta piega che avrebbe preso questo mondo, dei disastri ambientali e dei cambiamenti climatici. Eccola qui la frustrazione che emerge, la sensazione di non essere stati ascoltati, di avere buttato tante parole al vento. Ancora più triste e pungente è If I Had Heart, in cui la Mitchell dichiara malinconica che "se avessi un cuore, piangerei". Il sound è delicato e come sempre evocativo, senza inutili fanfare catastrofiche. Specialmente belli sono i passaggi di pianoforte, talmente espressivi ed ipnotici da poter quasi fare a meno della voce della Mitchell.

In questo Shine ritroviamo anche una nuova versione di Big Yellow Taxi, forse la canzone più conosciuta dell'artista. Questo inno ecologista è riuscito ad attraversare illeso quasi quarant'anni di Storia e riesce ad inserirsi benissimo nelle tematiche dell'album. Impossibile non sospirare alle profetiche parole "Don't it always seem to go, that you don't know what you've got 'till it's gone" (Non è sempre così? Che non sai quello che hai sino a quando non lo perdi). Altre due canzoni spiccano per eleganza e bellezza, Strong and Wrong e If.
Come possibile immaginare Strong and Wrong è direttamente ispirata alla figura di George W. Bush che la Mitchell non ha paura di definire assassino, egoista e fondamentalista religioso. Si può essere d'accordo o meno con questo messaggio, ma sarebbe stupido negare il suo peso e lo stato d'animo che riflette. Un uomo così potente eppure per la maggior parte delle volte così nel torto da incutere paura. Si riemerge da questa canzone col cuore appesantito e una vaga amarezza. L'album si chiude con If, adattamento dell'omonima poesia di Kipling (in italiano Se). Questo è probabilmente il pezzo più riuscito dell'intero lavoro. Grande ritmo e melodia conferiti dall'onnipresente chitarra della Mitchell e dal basso dell'ex marito Larry Klein. L'album si chiude col sottile ottimismo presente nei versi (rimaneggiati) di Kipling. La Mitchell ci invita a farci forza, un'altra volta, forse non tutto è perso.

Shine rappresenta probabilmente uno dei lavori più accessibili e facili di Joni Mitchell. L'apparente accessibilità non deve però trarre in inganno perchè non si tratta di un album usa e getta. Le canzoni sono facilmente assimilabili, ma le melodie si svelano lentamente e attraverso vari ascolti. Nonostante la pesantezza delle tematiche affrontate, l'album non risulta ostico o eccessivamente cupo. Probabilmente saranno in molti a rimpiangere i tempi d'oro di questa grandissima artista e in tanti snobberanno questo suo ennismo sforzo di restare attuale e far sentire ancora la propria voce. Riprendendo il discorso iniziale, l'Arte va cercata e chi si prende la briga di farlo avrà in cambio più di quanto si aspetta. Sono pochi gli artisti illuminati che resistono al passare degli anni e molto pochi ne emergono. Come il suo vecchio amico Bob Dylan, anche Joni Mitchell ha deciso che era il caso di riprendere in mano la chitarra e mostrare al mondo che sta arrivando il momento in cui non si potrà più tacere o voltare la testa per non guardare il baratro in cui tutti, che lo si voglia ammettere o meno, potremmo presto precipitare. Chi ha orecchie per intendere...

 

Tracklist

  1. One Week Last Summer
  2. This Place
  3. If I Had a Heart
  4. Hana
  5. Bad Dreams
  6. Big Yellow Taxi (2007)
  7. Night of the Iguana
  8. Strong and Wrong
  9. Shine
  10. If 
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