"Cos'è il Metal?" Una domanda spesso ricorrente, che non solo viene sovente posta a noi metallari, ma che a noi stessi headbangers a volte capita di porci, quando per esempio il mondo scompare e lascia il posto ad una realtà ulteriore fatta di suono sublime, quando qualsiasi altra cosa è cancellata dalla mente, quando la musica prende possesso del tuo corpo e tu sei solo un pezzo di carne che si sente acciaio, quando il sangue nelle tue vene bolle come lava e si tramuta in scariche elettriche che esplodono al ritmo della batteria e che ti corrono lungo la schiena all'irrompere degli assoli di chitarra, e tu allora avresti così tanta energia in corpo da abbattere a mani nude una montagna.

Il Metal è una forza immateriale trascendente, che ti compenetra completamente se sai accoglierla in te e che è in grado di toccare le tue corde più riposte, proprio perchè è diretta ed istintiva, sanguigna e feroce come l'animale che dorme dentro di te soffocato da millenni di civilizzazione. Il Metal può risvegliare quell'animale, farlo ruggire e combattere, e persino morire. Alcune volte il Metal concentra la propria essenza in dischi particolari, rendendoli sue emanazioni e capolavori del genere, ma altre, rare volte, sembra persino incarnarsi in un particolare album, manifestandosi all'ascoltatore in un'epifania che è fuoco, acciaio, sangue e uragano. La sua incarnazione più completa è senz'altro il colossale, devastante, eccelso "Painkiller" dei Judas Priest: proprio loro che già nei lontani anni '70 avevano forgiato tra le loro mani un Metallo ancora fluido e informe, che si riversava nelle loro fucine dalle fornaci di Led Zeppelin e Black Sabbath, ora, nel 1990, lo riplasmavano nella sua forma definitiva, assoluta, irripetibile, eterna, universale.

Parlare di questo capolavoro mi induce per una volta a rinunciare alla trattazione track by track: le parole infatti non sarebbero in grado di descrivere compiutamente queste dieci canzoni per le quali cinque stelle sono ancora poche, tuttavia tenterò di descriverle sommariamente per le rare persone che ancora non conoscono questo masterpiece. Si parla di Heavy Metal purissimo, si potrebbe dire persino distillato (qualcuno ha parlato anche di Power Metal, ma si tratta solamente di un'inutile puntualizzazione, ancora più trascurabile se si osserva che lo stile è quello classico dei Judas, solo indurito al massimo), dove le due chitarre gemelle di Glenn Tipton e Kenneth K. Downing macinano riffs e assoli al cardiopalma, veloci e furiosi, taglienti e rudi, supportati da una sezione ritmica al fulmicotone che vede, oltre al mitico bassista Ian Hill, la new entry Scott Travis alla batteria, che regala un tocco di potenza e tecnica in più rispetto al pur grande Dave Holland; e su tutto questo, come un orgoglioso demone che aleggia sulle ceneri del mondo, la voce di Rob Halford, che nonostante i 39 anni suonati è in grado di raggiungere acuti con una facilità e una rabbia impensabili anche per uno più giovane: divino e inimitabile, l'unico vero 'Metal God'.

I testi possono ad alcuni sembrare banali, ma la verità è che si tratta di lyrics metal al 100%, che narrano storie di mostri d'acciaio, uragani di fuoco, sanguinose e luciferine ribellioni. Si va dalla classicità di pezzi come "Hell Patrol", "Metal Meltdown" e "Between The Hammer And The Anvil" alla velocità di "All Guns Blazing" e "Leather Rebel", alle atmosfere malate, tetre e demoniache di "A Touch Of Evil" e dell'immensa "Nightcrawler", all'epico di "Battle Hymn" e "One Shot At Glory". Per ultima ho lasciato la leggendaria title track, "Painkiller", appunto, che è in verità la prima traccia del disco, per la quale trovo necessario spendere qualche parola. Il pezzo ci rimanda alla buona abitudine dei Judas di far partire i loro dischi con il brano più violento del lotto (vedi le varie "Sinner", "Exciter", "Rapid Fire", "Freewheel Burning", ecc.) allo scopo di stordire l'ascoltatore e predisponendolo ad accogliere quello che verrà con il retrogusto della prima canzone. Il Painkiller è un mostro e allo stesso tempo un semidio di metallo carico di minacce apocalittiche e pseudomessianiche: Egli verrà infatti un giorno a salvare l'umanità dalle proprie sofferenze, ma l'unico modo che avrà per farlo sarà annientandola completamente; la canzone è di una velocità e di una potenza terribili (la cover che ne fecero i Death non è affatto più dura dell'originale) e l'esecuzione dei cinque è impeccabile ma al tempo stesso passionale al massimo: tecnica sopraffina e sentimento soverchiante per una song che da sola potrebbe bastare a fondare una nuova religione.

La ristampa del disco comprende altre due bonus tracks, vale a dire la versione live di "Leather Rebel" e l'inedita "Living Bad Dreams", una ballad che sa però essere particolarmente aggressiva e carica di tensione, decisamente distante nell'attitudine da altri pezzi del passato come la melensa "Prisoner Of Your Eyes", pur rimanendo nelle medesime coordinate stilistiche.

"Painkiller", come del resto l'omonimo Angelo della Morte della title track, è una teofania del Dio del Metallo che non fa prigionieri: cinquanta minuti di purissimo acciaio mortale e scintillante senza punti deboli. E' l'ideale punto d'arrivo di tutto il Metal ottantiano e pietra di paragone irrinunciabile per tutto il Metal a venire. Qualcuno poterbbe obiettare a tutto ciò che il disco in sè non è particolarmente innovativo, nè è il più duro che sia stato sfornato da una band, e non a torto: l'album riguardo a ciò non ha nulla di nuovo o di speciale, tranne per il semplice fatto che esso è perfetto in ogni suo dettaglio, in ogni secondo di ascolto, che sa esprimere compiutamente il concetto di Metal in sè come nessun altro e regalare emozioni violentissime e una carica mostruosa, da stordire chiunque.

...Cos'è il Metal? IL METAL E' PAINKILLER!

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