Dopo 2 album (Turbo e Ram it down) accolti male da pubblico e critica, e quando dunque erano già in molti a cantarne l'elogio funebre, il "Prete di Giuda" ritorna con un disco a dir poco straordinario, che si colloca al livello dei migliori album della band e che può essere considerato, senza alcun timore di esagerazione, tra i dischi più belli dell'intero heavy metal.

Il disco è aperto dalla devastante title-track, nella quale vengono cantate le gesta del "Painkiller" (= "Sedativo"), ennesimo personaggio epico (o ridicolo, a seconda dei punti di vista) di una galleria cominciata già negli anni 70 con gente come i vari "Ripper", "Sinner", "Exciter" e compagnia bella. Lo squassante intro di batteria che inizia il brano ci permette di fare subito conoscenza con Scott Travis, ennesimo batterista reclutato dalla band, acclamato virtuoso, ex membro degli ipertecnici Racer-x di Paul Gilbert. La sua padronanza della doppia cassa e il taglio più moderno del suo stile sono uno degli ingredienti che permetteranno alla band di realizzare, con questo disco, un mezzo miracolo musicale: offrire una musica che sia perfettamente al passo con i tempi (in cui il livello medio di pesantezza sonora dei gruppi metal si è ormai elevato) pur mantenendo assolutamente intatto il sound tipico dei Priest, riconoscibile quanto meno da "Sad wings of destiny " del 1976... non è facile per un gruppo (e per un artista in genere) riuscire a modernizzarsi, recependo le novità introdotte da artisti più giovani, senza però snaturarsi e continuando dunque ad essere sé stessi:con "Painkiller" i Judas ci sono sicuramente riusciti.

Tornando alla canzone "Painkiller", l'intro di batteria di cui parlavamo è poi seguito da un riff tagliente ed incalzante e da una linea vocale semplicemente folle, una specie di cantilena eseguita con il classico screaming da Halford, qui ancora più cattivo del solito: si tratta, sia per il riff che per la melodia vocale, di idee semplicissime, poche note, ma di un'efficacia travolgente, a dimostrazione che i grandi sono tali proprio perché sanno fare tanto anche con pochi mezzi. Tutto il resto della canzone è assolutamente in linea con l'inizio, contribuendo così a realizzare, scusatemi per l'insistenza, una delle più belle canzoni dell'intero heavy metal (giudizio confermato dalla scelta da parte di bands importanti come Angra e soprattutto Death di coverizzarla): ritornello anthemico, altri riff brucianti, parte vocale iper-acuta, perfezione della struttura...una nota di merito soprattutto per gli assoli, che riescono a coniugare perfettamente melodia e tecnica, pulizia del suono ed effetti stridenti come fischi, passaggi di leva e pennata irruente.

Il resto del disco prosegue sugli stessi livelli qualitativi; con ciò non voglio dire che tutti gli altri brani siano come la title-track, anzi proprio il contrario: da veterani esperti e "papà" del genere, i Priest sanno che il segreto di un buon disco è il sapiente equilibrio tra le varie canzoni. Così se Painkiller è la giusta, devastante introduzione, è altrettanto giusto trovare poi tanti tipi di metal-songs diverse, tutte perfettamente sviluppate; si passa così dal mid-tempo terzinato di Hell Patrol all'assalto furioso di Metal Meltdown, dal classico metal-single (Night Crawler) alla pseudo-ballad A touch of evil fino alla conclusiva, complessa ed epica One shot at glory.Ma l'esperienza ormai quasi ventennale della band da sola non basterebbe per sfornare cotanto capolavoro:qui bisogna ringraziare una ispirazione sicuramente superiore alla norma (anche per quanto riguarda la storia del gruppo) e probabilmente la forte determinazione di tornare ad essere all'avanguardia e al vertice di quel genere, l'heavy metal, che i Priest più di chiunque altro (forse secondi in questo solo ai Black Sabbath) hanno contribuito a far nascere e crescere. Obiettivo perfettamente centrato, tant'è vero che Painkiller è forse l'album più noto della band e non sono pochi i metal kids che lo adorano e che ignorano i precedenti capolavori realizzati dai Judas negli anni 70 ed 80...e anche questo è un mezzo miracolo: quanti altri artisti hanno realizzato uno dei loro lavori più riusciti a ben 16 anni di distanza dal debutto?

Due note tecniche per concludere. I testi si mantengono sui soliti standard dei Priest, perfetti per chi ama tale tipo di lyrics e ne apprezza la capacità di sposarsi con la musica, pressoché ridicoli per chi cerca uno spessore diciamo di tipo cantautorale. Anche qui le tematiche sono sempre le stesse: scene epiche di guerra (One shot at glory), personaggi violenti e privi di scrupoli (Hell patrol), scenari apocalittici (Metal Meltdown), creature mostruose (Night Crawler) e le classiche storie malsane di amore-odio tipiche di Halford (A touch of evil). Per quanto riguarda invece le prestazioni dei musicisti, occorre dire che le magie qui regalateci da Rob Halford e dai gemellini Tipton e Downing varrebbero da sole l'acquisto del disco. Il primo sfoggia una serie di parti vocali tra le sue migliori di sempre: il suo classico screaming è qui ancor più possente e bruciante del solito, confermandocelo come uno dei più grandi cantanti hard'n'heavy di tutti i tempi...incredibile in particolare la sua capacità di eseguire linee altissime mantenendo però sempre un timbro rauco e virile e non esile e "femmineo", o eccessivamente stridulo come fanno altri. Uguali meriti vanno ai due chitarristi, spesso ingiustamente trascurati dagli appassionati di chitarra heavy metal: le annotazioni fatte più sopra per gli assoli della canzone Painkiller valgono infatti per tutto il disco.

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