Navigavo in rete qualche giorno fa visitando i siti ufficiali delle mie band preferite, preso da una tremenda nostalgia di ascoltare qualcosa di nuovo, finché non mi viene in mente di tornare sul sito della chitarrista statunitense Kaki King; con lo stupore di un bambino scopro che è uscito il suo quarto studio album: "Dreaming of Revenge" datato Marzo 2008.

 Ad un primo superficiale ascolto noto con piacere che la brava chitarrista è tornata ad usare le tecniche che l'hanno resa famosa mischiandole comunque alle sonorità sviluppate in modo piuttosto embrionale nel precedente "... Until we Felt Red".

Arpeggi ritmati e folk, tamburellamenti vari sulla cassa armonica della chitarra, slap e tapping, si fondono con atmosfere spaziose e rarefatte, spesso fredde e distaccate, finché la voce che appare qua e là (in pochi brani a dir la verità) non ristabilisce un contatto umano, seppur timido ed insicuro con l'ascoltatore.

Alcuni pezzi sono impreziositi da orchestrazioni ben curate alle quali la chitarra acustica di Kaki spesso fa da sfondo.

Questo album continua in qualche modo l'evoluzione/sperimentazione alla ricerca di nuove mete e fusioni tra acustico/elettrico/elettronico cercando anche la via del consenso più ampio con alcune "canzoncine" dai toni malinconici e trasognati.

Al contrario del precedente lavoro, questo "Dreaming of Revenge" risulta meno variegato nelle sonorità e meno coinvolgente.

 Ad aprire il disco è "Bone Chaos in the Castle" che parte con un tapping nel suo stile più classico, ma piuttosto ripetitivo e tenuto in compagnia di un sintetizzatore spettrale; l'insieme degli arrangiamenti richiamano in modo un po' goffo la musica dei Battles.

Il secondo brano è un canzoncina malinconica con voce accompagnata da arpeggio di chitarra acustica che non coinvolge in modo particolare, anzi la voce sembra quasi fastidiosa ... come inizio del disco siamo sotto la mediocrità (ahimè!).

Con il successivo brano "Sad American" l'atmosfera resta dello stesso colore, abbastanza evanescente anche se con accenti un po' più ritmati, ma a livello compositivo di una ripetitività imbarazzante e senza grande ingegno compositivo.

"Pull me out Alive" è una canzone rock dove l'autrice torna all'uso della chitarra elettrica per accompagnare la sua flebile voce; quattro quarti strofa - ritornello con una piacevole invenzione nella variazione prima dell'ultimo ritornello.

Ancora non riesce a coinvolgermi, purtroppo ... abbastanza banale ...

Se proprio devo tirarmi un pelo (ahia!) posso dire che la successiva "Montreal" suscita più simpatia e per fortuna rompe con un po' di ritmo gli schemi della prima parte di questo disco; sfido chiunque a non muovere neanche un piede sul 2/4 di questo pezzo, chitarre elettriche molto riverberate suonate con lo "slide" allentano la tensione ritmica e danno comunque al pezzo una dimensione rarefatta.

Finalmente si scende nelle profondità dell'anima di Kaki King con la successiva "Open Mouth" un paesaggio disegnato sapientemente da un paio di violini ci porta in un'atmosfera magica, in un bosco incantato popolato da chissà quali presenze che appaiono come ombre danzanti sul finale; forse il brano che mi coinvolge di più...

Si va avanti nell'ascolto con due brevi brani d'atmosfera di cui il secondo arricchito da sovraincisioni di voce flebile e malinconica.

L'interessante mistura sonora della successiva "Air and Kilometers" ridesta la mia attenzione assopita; ritmati accordi, armonici e appena accennati strumenti ritmici lasciano spazio a parti più ariose e psichedeliche che svaniscono in una breve e scarna chiusura con chitarra acustica.

L'ultimo brano strumentale dal titolo chilometrico è piuttosto piacevole e curato, riesce coinvolgere l'ascoltatore grazie ad arrangiamenti ben orchestrati di violini e una sezione ritmica più decisa; l'intero brano è in crescendo e si chiude in modo piuttosto maestoso: sicuramente il migliore dell'intero disco.

Infine "2 O'Clock" chiude l'album in modo suggestivo ma su una voce quasi insopportabile... una buona ritmica accelera l'intero brano verso il finale che ripiomba poi in una evanescenza notturna ... e tutto si riacquieta.

 Cosa dire di questo disco? Abbastanza deludente; poche idee che coinvolgono l'ascoltatore, poche invenzioni (anche se alcune molto belle).

I brani cantati sicuramente sono i più deboli dell'intero lavoro, e anche se in un paio di occasioni ci si trova davanti ad arrangiamenti interessanti e ricchi, nella sua interezza il disco non risulta piacevole ma alquanto noioso.

Mi dispiace dire che il talento di questa chitarrista si è perso un po' nei meandri di una ricerca sonora che non ha trovato ancora una sua maturità e si allontana chilometri da quel famoso album "Legs to make Us Longer" che faceva sperare in tutt'altra evoluzione.

Elenco tracce testi e video

01   Bone Chaos in the Castle (02:28)

Instrumental

02   Life Being What It Is (04:00)

03   Sad American (03:07)

04   Pull Me Out Alive (03:45)

05   Montreal (04:27)

06   Open Mouth (04:41)

07   So Much for So Little (03:32)

08   Saving Days in a Frozen Head (03:08)

09   Air and Kilometers (04:24)

10   Can Anyone Who Has Heard This Music Really Be a Bad Person? (05:10)

11   2 O'Clock (05:49)

12   Zeitgeist (06:31)

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