Questo disco è un sussurro, giunto quasi per caso a scuotere. Nato da un silenzio di quasi 12 anni, si tramuta in talento che si dirama in un doppio cd dal titolo fantomatico: "Aerial", che descrive perfettamente l'atmosfera del disco. Leggero come un soffione, ma anche violento come uno schiaffo.

La prima parte è semplicemente straordinaria: "King Of The Mountain" da il là: fantasia trip hop, tribale sbilenca, ritornello aperto come un ventaglio e strofe sussurrate in modo languido ed erotico. Pura sensualità sonora, che continua con "Pi", tam tam di tastiere frammezzate su un lamento, unico, di una Bush in preda a sogni ed incubi, con la sensibilità orinica di una vergine ti trama qualcosa nelle orecchie e tesse suoni, mentre canta come una sirena il numero del pi greco. Quindi si passa a "Bertie", una semplicissima ballata in punta di piedi, che si rivela la migliore dell'album: strumenti medievali per una canzone d'amore materno, una delle migliori dell'artista inglese. Della prima parte non possono non essere segnalate anche "Mrs. Bartolozzi", canzone costruita su un sospiro, che ricorda non poco una Bjork Medùlliana più melodica e pop, "Joanni", pezzo easy-listening dal ritornello rock e testo che parla di una guerriera coraggiosa, come la canzone: una delle meno aspettate in un album, che era anticipato come "la svolta elettronica-jazz di Babooshka" e "How To Be Invisible", basso abile e percussioni ostinate per una voce febbrile, che si trasforma in profondità. La prima suite viene chiusa da "A Coral Room", nenia su pianoforte che diventa abisso, sepolcrale come gli inferi, ma non inquietante, quanto la visione tenera del male.

La seconda parte, invece, si rivela molto meno riuscita, troppo astratta, troppo omogenea e lineare per riservare bellezza. Eppure qualcosa si trova: "Somewhere In Between", ballata afro-jazz che si fa riascoltare più volte e la conclusiva "Aerial", un delirio assoluto di 8 minuti, in cui alla fine Kate Bush si mette ad urlare e ad imitare il canto degli uccelli. Grandiosa. In mezzo, poco o niente, esercizi di stile, che spesso diventano interessanti ("Sunset", "Nocturn") o fini a sè stessi ("An Architect's Dream" o "Prologue"... dove o perdio! Kate canta una strofa in italiano! XD).

Un disco poetico e maligno, tenero e sensibile, inquieto e calmo, che non ha nulla a che vedere con la bellezza obliqua di "Hounds Of Love", "The Dreaming" o "Sensual World", ma è comunque un gradito ritorno. Sicuramente. Continua così, Kate!

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