In genere mi lamento dell'eccessiva produttività di certi cantanti che a ritmo annuale sfornano i loro lavori e, generalmente, mi auspico sempre che sia una sincera ispirazione a far nascere l'idea di un lavoro e non squallido business o interessi di varia forma. Vero è anche, che certi artisti, più stanno lontani dalle scene e più riescono a stupirci. Ma le favole, aimè restano favole, perché esistono anche artisti che lasciati fuori dal giro per troppo tempo, tornano a calcare le scene con prodotti perlopiù datati e vecchi in termini di suoni e/o arrangiamenti. È il caso della ex-musa Kate Bush, per molto tempo un punto di riferimento per chi cercava sperimentazioni nel pop e viceversa (eravamo alla fine anni 80?!) che dopo ben 12 anni di assenza dalle scene ("per curare i figli, per vivere d'altro e cercare nuovi stimoli" come dichiarò lei stessa in una lunga intervista a u mensie italiano di musica) se ne esce con un doppio lavoro quasi ambient-new age (se mi consentite il termine) abbastanza insapore che di sperimentale ha ben poco.

Diviso in due parti chiamate "A Sea Of Honey" con 7 canzoni tra le quali il singolo "King Of The Mountain" alla frizzante "How To Be Invisible" per chiudersi col brano intimista e suggestivo di "A Coral Room" che ricorda certi lavori di David Sylvian e Peter Gabriel. Il secondo "A Sky Of Honey" è una specie di concept-album in 9 parti nato sotto l'influsso della natura, del canto degli uccelli, all'attenzione nelle piccole cose, tutto nell'arco di un'intera giornata: dall'alba al tramonto. C'è un'aria malinconica e ricca di pathos, con picchi di passionalità e atmosfere quasi magiche, ma siamo ben lontani dai lavori come "The Dreaming" (il suo capolavoro) o anche solo "Red Shoes" del 1993. L'atmosfera che si respira suona per lo più "finta" e "campionata" con grosso lavoro di mestiere che concede poco alle emozioni (a parte qualche brano vedi "Bertie" innocente e dal sapore antico simil-Branduardi, dedicata al figlio piccolo o il brano "Pi" cantato su cifre di musiche rese musicali dalla sua voce eterea e affascinante come non mai).

La classe c'è tutta, niente da ridire, ma si respira "poca anima" racchiusa in suoni non particolarmente accattivanti o moderni (simile al percorso di Peter Gabriel con "Up") restituendoci un disco carino, a tratti bello, ma che non seduce come sapeva fare la Bush dei bei tempi. Il disco infatti non si fa particolarmente ricordare per nulla, i brani scorrono via abbastanza prevedibili e piacevoli quel tanto da farsi ascoltare. Un disco che dopo un paio di ascolti immagino verrà, come altri, riposto nel punto più improbabile della propria parete discografica o, nel migliore dei casi, rivenduto a 8 euro in qualche bancarella del centro. Mi chiedo se sia meglio "far bollire" Kate per altri 10 anni e rimandarla a miglior sortita o se invece, battere il chiodo finchè è caldo, e invogliarla a mettersi sotto torchio per darci un vero successore musicalmente "più sentito" degno del nome che porta.

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