Col fiato sospeso...

La Morte Sospesa, docu-film inglese del 2003 (che gioca nel titolo tra l'ossessiva attesa di una morte imminente e il fatto che la sopravvivenza sia letteralmente appesa a un filo) è una di quelle chicche passate quasi in sordina nelle sale cinematografiche italiane, sempre più attente al sicuro incasso piuttosto che spingere film "minori" come questo.
Un film senza grossi effetti speciali, senza strutture narrative complesse e senza spari, fughe rocambolesche e scazzottate. Un film, udite udite, SENZA nemmeno l'ombra di una sventolona con le zinne di fuori e senza nemmeno un bacio o una storia d'amore.
Dirò di più: senza nemmeno una colonna sonora o un leit motiv da canticchiare né tantomeno dialoghi profondi o da fine intellettuali!
Niente di tutto questo.
Qui siamo allo Zero Assoluto della cinematografia comunemente intesa ma, proprio per questo, vibrante emozioni intense come poche!
Insomma: oserei definirlo un Film Zen.
Di quelli che ti entrano dentro piano a piano e che ti montano dentro come un soufflè, lentamente ma inesorabilmente ti possiedono e non ti lasciano più. Un film che, nel modo più semplice e diretto, narra la storia di un'Amicizia forte e sincera e il rapporto tra due esseri umani, intenso, vivo e teso su una "sottile linea bianca" che è quella dell'ambiente dell'alpinismo estremo tra le nevi perenni dei ghiacciai di altissima quota.
Un film fatto di vuoti e lunghi silenzi inesplicabili, dove uno sguardo, una luce, il rumore di una goccia di acqua che scende da una stalattite o il suono di una corda che si spezza, diventano i dialoghi muti di un'esperienza quasi catartica che toglie letteralmente il fiato. Siamo prossimi a qualcosa di mistico, un'esperienza estatica raramente narrata nei film comunemente distribuiti nelle sale cinematografiche.
Un film che ti fa sentire la tormenta di neve direttamente sulla pelle, ti scuote l'anima e ti scava dentro, raccontando in maniera quasi simbolica, la caduta, la disfatta e la rivincita interiore di un uomo che, con il suo coraggio, la sua determinazione e la voglia di riuscire, verrà premiato proprio (e solo) per questo.
Quasi un percorso parallelo e mistico con la Passione del Cristo (qui fatto uomo) con il suo calvario, la disfatta e la redenzione finale.

È la storia VERA (e ricostruita in maniera pressoché perfetta) di Joe Simpson e Simon Yates, due giovani ed esperti alpinisti inglesi, che nel 1985 decisero di scalare la Siula Grande sulle Ande peruviane, un'impresa titanica e mai portata a termine da nessuno prima di loro. Mentre la scalata si rivelerà abbastanza agevole, la discesa diventerà il loro vero incubo.
Un inferno dantesco di pari intensità che porterà uno dei due protagonisti (a causa di un incidente di percorso) nei gironi oscuri dell'anima, a stretto contatto con la paura della morte, dove vivere o morire non sarà più una questione puramente organica ma rappresenterà una sfida con se stessi al di là di ogni umana comprensione.

Grande maestria e classe di Kevin MacDonald, il regista, in grado di "far parlare l'ambiente ostile e claustrofobico", da molti considerato in assoluto il terzo Vero Protagonista del film, con sequenze mozzafiato girate in situazioni estreme e davvero impensabili.
Un film che lentamente ma inesorabilmente, sta risquotendo grandi apprezzamenti in ogni parte del mondo (miglior film inglese ai BAFTA, vincitore del Festival di Trento e altri premi ancora in assegnazione) e che ora è in distribuzione dalla Fandango Film in edicola.

Signori: una lezione di Grande Grande Cinema.

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