Se esistesse o fosse esistita anche nel mondo musicale ( eccettuati i compositori classici ) una “politica degli autori”, i King Crimson ne avrebbero fatto parte: anche in quegli album considerati minori si rispecchiano coerentemente la filosofia, lo stile, la poetica del gruppo ( o meglio, di Fripp). “Lizard” lo si può definire ‘anomalo’. Lo si può definire ‘minore’, con tutte le implicazioni pregiudiziali del termine. Ma tutto ciò sminuisce la sua importanza all’interno del percorso creativo del gruppo, che pur essendo un percorso di grande continuità non è mai ripetitivo.
Che Lizard sia considerato un momento minore, o presunto tale, è riscontrabile già dalla posizione in classifica(26), lontana dal quarto posto di “In the Wake”, ma sono altri i fattori in parte penalizzanti di cui tener conto: il gruppo non ha più la voce di Lake, i cui livelli saranno raggiunti solo da Wetton, e non ha più Giles & Giles: assunti Gordon Haskell (bassista/cantante, già comparso nel disco precedente) che se ne andrà due mesi dopo, ed un nuovo batterista.
Oltre al leader resta Sinfield, i cui testi si mantengono sul filone già sfruttato ma non ancora esaurito dell’onirico-epico-favolistico, che gli permette evidenti riferimenti all’attualità (e qualche strizzatina d’occhio alla cultura hyppie). Emblematiche in tal senso la suite che da il titolo al disco e ‘Cirkus’, un brano in cui piano mellotron chitarra fiati e voce sono ugualmente protagonisti. L’impianto è contrappuntistico, a partire dall’introduzione di piano e dalla quasi onnipresente chitarra frippiana che dietro all’istrionismo cela un consueto rigore quasi geometrico; gli strumenti (voce compresa) si scambiano spesso le melodie, e il risultato è un atmosfera corale quasi babelica, che traspone musicalmente “il grande circo che è la vita”, secondo le intenzioni di Fripp, e trova respiro solo nella parte centrale di sax e mellotron. E’ evidente all’interno di tutto l’album l’influenza jazz-rock, ma specialmente in “Indoor games”, (dove troviamo da una parte sporadici echi di “Cat food”, dall’altra l’embrione di “Ladies of the road”), e in “Happy family”, dal ritmo sincopato: due pezzi divertenti e divertiti ( vedi la risata finale di Indoor..), godibili. La minimalista “Lady of the dancing water” è il perfetto punto di raccordo fra “Cadence and Cascade” e “Island” ( togliendo il flauto infatti il primo giro di accordi alle tastiere è quasi uguale a quello di “Island”), a cui prelude del resto anche il testo, romantico e con continui riferimenti agli elementi naturali. L’unione del corno accanto a piano, flauto e chitarra contribuisce all’atmosfera calda di questa piccola canzone ben congeniata. La suite “Lizard” è una sintesi dell’intero disco, un autentico crogiòlo dove si fondono tutti i momenti diversi dell’ispirazione frippiana/crimsoniana in continua evoluzione. Le transizioni fra i vari “movimenti”(quattro, proprio come una sinfonia) sono pulitissime e geniali: basta pensare a come si insinua ‘jazzisticamente’ il Bolero all’interno dell’assolo lirico dell’oboe, e a come la melodia dell’assolo ( che a sua volta riprende quella della strofa di “Prince Rupert”) viene sviluppata e resa quasi irriconoscibile all’interno del Bolero stesso. Una nota merita il minuto finale di “Lizard” ( “Big Top”), una fanfara circense accostata a un motivo di mellotron che provoca dissonanze e rende la conclusione inquietante e soprattutto irrisolta (viene distorta mentre conclude in dissolvenza), ricollegandosi inoltre alla trama-concept dell’album. Questo finale è la concezione di conclusione come progressivo, enigmatico avviarsi verso l’indistinto, al termine della vita probabilmente ( poiché “Cirkus” parla di nascita, secondo gli appunti di Sinfield).

Lirico e inventivo,“Lizard” è un disco sicuramente minore per importanza storica, non ha l’impatto sconvolgente di “In the Court” né rappresenta un’evoluzione stilistico-concettuale come “Larks Tongues in Auspic”, tuttavia non può essere liquidato fra le opere “poco rappresentative”: ha unità, coesione, personalità, ed alcuni momenti memorabili. L’album è lontano dal clichè che lo vuole incompleto o marginale (giudizio, questo, di chi si crogiola nel culto del Capolavoro, e fossilizza così le proprie opinioni) e va inserito nel processo continuo di ispirazione/sperimentazione di Fripp e soci che pur non abbandonando le basi concettuali e musicali dei precedenti lavori creano un disco ispirato e non ripetitivo. Del resto, Fripp stesso ci illumina su quale sia lo stile Cremisi ( 7/11/1970): “I suppose Crimson is a way of life”.

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