E giunsero al loro terzo album. La formazione dei King Crimson è giovane, ma ha già subito notevoli cambiamenti. Nati ufficialmente ad inizio del 69, nell’estate del 70 hanno già avuto modo di scrivere un po’ di storia della musica rock, dando alle stampe “In the Court of the Crimson King” (ottobre 69), il loro capolavoro senza tempo, e “In the Wake of Poseidon” (maggio 70) il gemello che necessariamente sta un mezzo gradino sotto.

Fripp e Sinfield si ritrovano ad essere gli unici due membri originali e mettono assieme una nuova formazione per registrare quello che sarà il loro album più atipico: Lizard.

La formazione comprende ora Gordon Haskell, bassista e cantante, il batterista Andy McCulloch, dai Manfred Mann's Earth Band e precedentemente parte dei Dorset (dove aveva già militato Fripp), e Mel Collins al flauto e sax, un session man che aveva già collaborato a In the Wake of Poseidon e che in futuro presenzierà in decine di album importanti..

Con questa formazione si da avvio alla registrazione dell’opera più jazz, più disarmante e più distante dal resto della discografia Crimsoniana. Non amato da tutti ma una perla fantastica che bisogna scovare con un po’ di fatica visto che non compare generalmente nelle top list.

Quattro brani nella prima facciata ed una lunga suite nella seconda, divisa a sua volta in quattro parti; ma andiamo con ordine.

Intanto la fantastica copertina di Gini Barris con il nome dei nostri riprodotto in stile medievale incorporante delle immagini che si riferiscono ai cinque pezzi dell’album: le immagini della parola King, rimandano alla suite del lato B, mentre quelle della parola Crimson ai primi quattro pezzi del lato A (…ebbene questo disco è uscito in vinile, pertanto rispettiamo questa distinzione obsoleta) . L’interno della copertina apribile, riporta i testi su una trama marmorizzata, dal vago sapore antico. Ma questa è una recensione di un album musicale, dunque che musica sia!

Il disco inizia con Cirkus, una traccia delicata che parla di circo in maniera sognante e la cui melodia accompagnata ora dal piano elettrico ora dalla chitarra acustica fatica inizialmente a rimanere in mente, ma poi si pianta nel cervello per sempre. Il cantato di Haskell è sempre misurato; molto bello l’assolo di sax e l’accompagnamento al mellotron di Fripp. La traccia si chiude con un crescendo dissonante. Non male come inizio.

Indoor games, una disamina satirica sulla classe borghese raccontata con uno stile esagerato e sarcastico.

L’inizio è una linea melodica di sax che sembra suonata con lo spartito girato al contrario, anche questo, dopo ripetuti ascolti, incredibilmente magnetico. Il pezzo continua su un buon livello, ma la reiterata linea melodica di sax lo sostiene eccelsamente. La voce, come nel brano successivo, è fortemente filtrata, quasi dovesse sembrare uno strumento al pari degli altri.

Happy Family, ancora sarcasmo fin dal titolo: si parla dello scioglimento dei Beatles avvenuto da poco, i quali fatico a pensarli felici e ancor meno una famiglia.

Anche in questo brano, molto piacevole, sono le timbriche a farla da padrone. L’impasto sonoro dei vari strumenti è una spanna al di sopra rispetto alla media della musica rock. L’influenza del jazz è evidente, ma siamo mille anni distanti dalla fusion.

La facciata si chiude con Lady of the Dancing Water, un pezzo le cui sonorità ricordano I talk to the wind con il soffuso accompagnamento di chitarra e flauto.

La seconda facciata è occupata interamente dalla suite Lizard, il brano più lungo dei King Crimson e l’unica vera suite del gruppo.

Il testo si basa sulla figura immaginaria del principe Rupert che conduce la “Battaglia delle lacrime di vetro”

La prima parte, Prince Rupert Awakes, è cantata da un ospite d’eccezione, Jon Anderson, per gentile concessione degli Yes. Cantato molto soft ed ancora una volta arrangiamenti pregiati in cui tutti gli strumentisti partecipano con misura e gusto.

La prima parte poi sfuma nella seconda accompagnata da un un rullante a tempo di bolero. La seconda parte, Bolero: the Peacock's Tale, è totalmente strumentale con i fiati in primo piano. Qui non siamo più influenzati dal jazz, questo è jazz di grandissima qualità e con qualcosa di originale che lo rende sghembo e imprevedibile.

Si giunge dunque al cuore della suite, The Battle of Glass Tears. Qui ritorna il cantato, quasi impercettibile di Huskell. Linea di basso in primo piano, mellotron e batteria si alternano a sax e flauto. Il fare è deciso, con qualche accento free: questo non è un brano delicato, d’altronde siamo pur sempre dentro una battaglia.

Siamo alla fine con Big Top; Fripp si ricorda di essere anche un chitarrista elettrico, e parte con la sua tipiche sonorità che avrà modo di espandere ed esplorare nella sua successiva produzione. L’opera vira verso la fine, ma prima c’è ancora tempo per una motivetto da circo sostenuto dal rullante e con una atipica melodia.

Siamo davvero alla fine; sono trascorsi 43 minuti da quando, 10 minuti fa, abbiamo messo il disco sul piatto.

Un album fantastico che magari può non piacere a tutti, i cui pezzi non saranno usati per le pubblicità e che non canticchierete sotto la doccia, ma che se sarete pazienti vi regalerà molto più di quanto avreste mai immaginato.

Comunque stiano le cose non cercate nel resto della discografia dei Crimson qualcosa di simile, semplicemente perché non esiste; forse questi non erano nemmeno i King Crimson.

madcap

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