Difficile dire quale possa essere il miglior album delle tizie in questione perché dagli esordi a qui (1997) hanno unito di volta in volta alla mistura dalla quale si ricavano i cd fisicamente, una intelligente dose di rumore.

La sorpresa di questo giro è che spizzano la carta giusta riuscendo a mettere un po’ di ordine tra le idee e a produrre un album morbido come un calcio nel bel mezzo della spina dorsale. Con tutte le conseguenze del caso. Per essere intelligente devono aver fatto qualcosa di buono. Cosa? Innanzitutto in questo disco c’è del pop né smarciulento, né buttato in caciara come si potrebbe pensare. I pezzi più easy listening hanno comunque un’ansia di fondo che ti fa dire pop sì ma niente di commerciale. Le elucubrazioni mentali adolescenziali sono andate al macero e il riciclo sa di femminazza americana buttata per strada che s’è messa il rossetto a cerchi concentri per tutto il viso e ha qualcosa da cantare nel suo stato di massima lucidità: l’ubriacatura.

In questo disco c’è anche del metallo che, ad occhio e croce, pesa come un gol di Cambiasso negli ultimi tempi. Insomma, se le becchi sulla traccia giusta trovi quella che canta che si diverte a fare la chitarra elettrica pizzicando le corde vocali e le chitarre elettriche incazzate per il dispetto subito. Batteria e basso ci danno come una ceretta sul petto di Jon Bon Jovi e il risultato è che se ti vuoi porre domande esistenziali non è proprio quello il momento adatto. Rischieresti di trovare le risposte giuste e poi non ti resterebbe che andare al porto, trovare la forza morale per alzare un blocco di cemento e attaccarlo al cappio per farla finita.

In questo disco c’è, naturalmente, anche del punk, gentile come Lemmy di prima mattina che si trova accanto, appena sveglio, una groupie formato Moby Dick con gli attributi. Discole volanti come poche donne della storia del rock, le nostre dimostrano di avere pelo sul petto e di fomentare pogo mica da poco. Però è un punk cattivello e oscuro, che ti guarda sottecchi e minaccia di usare la clava ad ogni passo falso.

Infine, in questo disco c’è del grunge, perché vuoi o non vuoi sono americane dei ’90 e quindi le pippe mentali se le devono fare pure loro, anche cazzeggiando e scrivendo il testo di una canzone che presenta in fila i nomi di tre ragazze (Lorenza, Giada, Alessandra, sembrerebbero triculori) ripetuti in loop tanto che ti viene facile pensare che sono meglio gli Screaming Trees come tortura, per te, povero glamster che un calcio in culo da questa roba lo dovevi prendere comunque.

Note di merito all’intro (prova di come la voce voglia sopraffare le chitarre), a “Drama” hard rock pre2000, “I Need” ansiogena per pasticca rave, “Moonshine” erotica pop-presa per il culo con gli artigli affilati. Pure le altre tracce valgono, ma queste, se ve le cercate, possono inquadrare bene la release.

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