Come esprimere tutta l'energia che si ha dentro quando davanti ai nostri occhi si innalzano barriere, muri e orizzonti che sembrano irraggiungibili? Con il loro secondo lavoro in studio i Ladri di Mescal raccolgono esperienze, incontri, luoghi e distorsioni di una società (italianissima) che non riesce a non cadere nella futilità e nella noiosissima ricerca di una vita al di sopra di ogni possibilità.

Tutti i brani dell'album puntano l'attenzione verso un sentimento o una sensazione: in particolare la titletrack "La violenza del benessere" ha un sound caldo e trascinante, sorretto da timbriche un pò vintage che farebbero ardere i cuori dei nostalgici dei seventies, con tanto di intro (in apertura dell'album) con la voce di Marcella Bellini che tocca note acutissime con convinzione e reale trasporto.

Con un certo allontanamento dalla classica struttura pop arrivano le tracce successive, supportate da synth e tastiere ma condotte per mano dalle chitarre ritmiche e soliste. "Sempre sognare" e "Pensieri distorti" fanno emergere il lato più ruvido ed elettrico della band grazie alle ritmiche di Marco Mancini e alle chitarre soliste di Francesco Giacalone che catturano l'attenzione portando l'album su un livello nuovo ed entusiasmante. Chiusa una parentesi che sfiora appena il prog, giunge la parte più intima dell'album con le atmosfere blues di "Mentre sorride" e una leggera ma orecchiabile brezza pop in "Piazza Mastai" e "Non ti muovere". In quest'ultima il gruppo si riavvicina alle tracce precedenti con una seconda parte ricca di suoni, echi e "soli" ispirati. In questi brani si sente maggiormente l'influenza del rock internazionale che si allontana quasi totalmente dal sentiero tipicamente nostrano grazie anche a giri di basso (nello specifico Riccardo Fortuna) mai sommessi nella sola parte ritmica.

In chiusura solo brani leggeri, definibili "easy listening", in cui il disco ha quasi "spremuto" ogni goccia di emotività. "La festa di Santa Rosa" cantata da Marco Mancini evoca le feste di paese lontane dal quotidiano,  e con ironia elenca situazioni e personaggi in bianco e nero, caoticamente e rumorosamente richiamati come in un RVM da talk show della domenica.

"Ogni tua parola" cantautorale fino al midollo, serve alla chiusura del cerchio, affermando quanto musicalmente e intellettualmente il gruppo ha già espresso.

La violenza del benessere serve a farci comprendere quanto un buon ascolto sia importante (almeno una volta ogni tanto) specialmente se si evocano espressioni e situazioni vicinissime e palpabili. Una buona band italiana che non strizza l'occhio alla commercialità a tutti i costi (eleganti e mai banali i testi di Mancini e D'Orazio), con sonorità che catapultano all'indietro come in una macchina del tempo che ci fa vedere ciò che è, e ciò che forse non sarà mai più.

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